Nelle scorse settimane in Nigeria, un vaccino contro la febbre di Lassa sviluppato da ricercatori locali ha mostrato segni di efficacia nella lotta alla malattia, che nella prima metà del 2025 ha fatto registrare 747 nuovi casi e 142 morti nel Paese africano. A darne notizia è stato Simeon Agwale, Chief Executive Officer dell’azienda farmaceutica nigeriana Innovative Biotech. Il vaccino è stato sviluppato su licenza dell’Università di Melburne e negli Stati Uniti sono state prodotte le dosi per la sperimentazione, in attesa che in Nigeria vengano costruite le infrastrutture necessarie.
Per il gigante africano la possibilità di poter sviluppare autonomamente e di produrre il vaccino per una malattia che lo continua ad affliggere – il tasso di mortalità è aumentato rispetto al 2024 – rappresenta un risultato significativo, sintomo di una tendenza positiva riguardo lo sviluppo dei vaccini in tutto il Continente.
Diversi Paesi africani stanno cercando di aumentare la produzione di vaccini interna, una priorità che si è fatta più grande dopo la pandemia. Nel 2022 è stata creata la Partnerships for African Vaccine Manufacturing (Pavm) che mira a far produrre il 60% del fabbisogno dei vaccini in Africa entro il 2040 (al momento la percentuale che si riesce a coprire è solo l’1%).
Il problema della produzione dei vaccini è legato anche alle fasi di progettazione e al suo sviluppo. Secondo l’Africa Centre for Disease Control and Prevention (Cdc), il dipartimento dell’Unione Africana che si occupa della prevenzione e il controllo delle malattie, nel 2024 si contavano venticinque progetti di vaccino in tutto il Continente: quindici alle prime fasi di sviluppo, cinque con capacità produttiva ma senza capacità di trasferimento, cinque con capacità produttiva e capacità di trasferimento. I numeri sono positivi e sono rafforzati dal fatto che in tutto il continente ci sono almeno una decina di aziende farmaceutiche attive in paesi come appunto la Nigeria, il Marocco, l’Egitto, il Sudafrica, l’Algeria. Tutti questi aspetti stanno contribuendo al rafforzamento dell’ecosistema vaccinale che in passato ha già dato frutti come il vaccino per l’ebola sviluppato dopo l’epidemia del 2013 in Africa occidentale.
Recentemente, per rafforzare la capacità produttiva dei vaccini in Africa sono stati annunciati tre importanti accordi, uno firmato a dicembre 2024 e due a febbraio di quest’anno. Il primo vedeva la partecipazione della U.S. International Development Finance Corporation, della Banca di Sviluppo Africana e della International Finance Corporation (Ifc) e prevedeva lo stanziamento di quarantacinque milioni di dollari alla VaxSen, una sussidiaria dell’Istituto Pasteur di Dakar in Senegal, paese anch’esso molto attivo nella ricerca vaccinale. L’accordo agiva il rafforzamento della capacità produttiva, del supporto alla supply chain locale e la creazione di una forte rete distributiva dei vaccini come prevede la strategia dell’Unione Africana per il 2040 di cui fa parte anche la Pavm. Oltre ad avere impatti sulla sanità, l’accordo doveva avere anche effetti sull’occupazione specializzata perché vedrà l’ampliamento degli impianti dell’Istituto Pasteur. C’è da chiedersi se dopo i tagli della presidenza Trump alla cooperazione internazionale di questi mesi anche questo progetto verrà ridimensionato o addirittura cancellato.
Il primo accordo di quelli firmati a febbraio prevede un investimento da un miliardo e duecento milioni di dollari da parte della piattaforma Gavi-the Vaccine Alliance, una partnership pubblico-privata che sostiene progetti di vaccinazione in tutto il mondo, in particolare per i bambini. Secondo questo accordo i fondi verranno utilizzati per creare in Africa una piattaforma di produzione di un vaccino a RNA messaggero e verranno coinvolte aziende private sia africane, come l’egiziana EVA Pharma, sia straniera come la francese DNA Script e le belghe Unizima e Quantoom Biosciences. Nel secondo accordo firmato a febbraio la collaborazione invece è tutta africana: l’egiziana Biogeneric Pharma e la sudafricana Afrigen amplieranno lo sviluppo dei vaccini a RNA messaggero anche per rafforzare l’expertise continentale nella produzione e nell’applicazione contro le malattie che affliggono il Continente.
Queste iniziative sono state elencate nel rapporto che la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi) ha pubblicato a febbraio di quest’anno. La fondazione con sede a Oslo ha sottolineato che tra i problemi da risolvere per poter sviluppare pienamente un’industria vaccinale in Africa ci sono problemi con l’accesso ai fondi, limitazioni nella produzione, tariffe e oneri doganali, incertezza nella domanda – il problema del mercato dei vaccini in Africa influisce molto sulle scelte delle varie aziende produttrici nel mondo, tenendo anche conto del fatto che nei prossimi anni l’Africa vedrà un importante ulteriore aumento della sua popolazione, soprattutto della sua popolazione giovane.(Agenzia Fides 19/6/2025)
TESTO DI COSIMO GRAZIANI
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