Gruppi legati all’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar sono attivi nel traffico dei migranti che arrivano irregolarmente in Italia partendo dalla Libia orientale. Lo afferma oggi ad “Agenzia Nova” l’analista senior dell’International Crisis Group (Icg), Claudia Gazzini. “Ritengo alquanto improbabile che il gruppo russo Wagner abbia un ruolo nei flussi migratori verso l’Italia”, riferisce l’analista italiana. “Quello che sappiamo da fonti sul campo, invece, è che ci sono libici legati ad Haftar, dunque unità legate all’Lna, che si sono attivamente messi a giocare una partita nei flussi dei migranti che provengono dall’est, dunque dal confine egiziano, e che vengono imbarcati in vari porticcioli lungo le coste della Libia orientale”, riferisce Gazzini. Secondo i dati del Viminale ottenuti da “Agenzia Nova”, almeno 10.628 migranti sono sbarcati in Italia dalla Libia al 28 marzo, in aumento del 152 per cento rispetto ai 4.207 arrivi dello stesso periodo dell’anno scorso. La metà dei nuovi arrivi è partita dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia dominata dal generale Haftar, a sua volta sostenuto dai mercenari del gruppo russo Wagner.
“Nessuna evidenza di legami con Wagner”
“Non mi risulta che ci sia un legame attivo tra Wagner in Libia e questi combattenti sudanesi e ciadiani. Ci sono state molte dicerie al riguardo. Guardando la mappa, a rigor di logica è facile dedurre che Wagner stia addestrando questi mercenari in Libia per fare opposizione agli attuali regimi operativi nei rispettivi Paesi. Tuttavia, non c’è alcun riscontro fattuale al riguardo”, ha dichiarato l’analista. Per quanto riguarda il coinvolgimento di questi gruppi nelle attività illecite transfrontaliere, secondo le informazioni raccolte, Gazzini ritiene “con moderata certezza” che i sudanesi siano coinvolti nel traffico di benzina dall’est della Libia, un mercato “attivo e molto proficuo” al momento che copre l’area fra Bengasi, Kufra, fino al confine con il Sudan. “Sembra che questi gruppi armati sudanesi siano coinvolti in questo traffico in collaborazione, si dice, in particolare con Saddam Haftar“, figlio del generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna).
Gazzini precisa di non avere contezza di un coinvolgimento dei gruppi sudanesi nel traffico di esseri umani, attività che tuttavia “non esclude” sebbene “a Kufra si sente parlare poco di migranti in transito da Ciad e Sudan”. Per quanto riguarda i combattenti ciadiani posizionati sulla frontiera nigerina e ciadiana, infine, l’analista osserva che anche lì il traffico “è molto diminuito”, specialmente in provenienza dal Niger ma anche dal Ciad. Gazzini ricorda che “nessuno passa dal nord del Ciad per arrivare in Libia” e che in base a questi elementi si presume che questi gruppi armati possano essere coinvolti in altri tipi di traffici transfrontalieri. “Ricordiamoci che il nord del Ciad è più vicino fisicamente alla Libia che a Djamena, quindi la gran parte dell’economia del nord del Ciad si basa su beni che provengono dal sud della Libia”.
“Difficile un ritiro dei mercenari ciadiani e sudanesi”
Secondo Gazzini, un ritiro dei combattenti e mercenari ciadiani e sudanesi dalla Libia richiede tre cose: una volontà vera; una controparte nei rispettivi Paesi disposta a collaborare; condizioni politiche e militari per il rimpatrio. “Come è possibile immaginare, non tutti i Paesi, specialmente il Ciad e in parte anche il Sudan, auspicano un ritorno di questi combattenti, alcuni dei quali sono membri dell’opposizione armata”, riferisce Gazzini commentando il tour avviato dal rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, in Sudan, Ciad e Niger con l’obiettivo di concordare il ritiro dei mercenari e combattenti stranieri dalla Libia e garantire la sicurezza dei confini del Sahel.
Il rientro dei combattenti di Ciad e Sudan attualmente presenti in Libia necessita di una (non scontata) collaborazione dei governi dei due Paesi. “Per il Ciad sono poco ottimista. In Libia il principale gruppo dell’opposizione è il Fact (Fronte per l’alternanza e la liberazione del Ciad) – che ha lanciato l’assalto al nord del Ciad e portato poi alla morte del presidente Idriss Deby –, per il quale non sembra esserci spazio nell’attuale quadro politico e militare. Sono in corso dei colloqui riservati, attraverso terze persone, per vedere fino a che punto il Fact possa rientrare nel cosiddetto processo politico di N’Djamena. Le aspettative però sono basse”, afferma Gazzini. In Sudan la situazione è diversa. “Rispetto agli anni dal 2018 al 2020, molti combattenti sudanesi sono già tornati perché c’era un processo politico che lo permetteva. Molti gruppi hanno aderito al dialogo e all’accordo di Giuba che poi ha segnato l’inizio di questa nuova fase”, ricorda Gazzini.
Oggi, tuttavia, il governo di Khartum teme che il rientro dei combattenti stranieri possa scuotere i fragili equilibri su cui si regge il Paese in mano alla giunta militare. “Per questo i diplomatici sudanesi sono molti cauti, ripetono che non vogliono una destabilizzazione del Sudan e non si sa fino a che punto siano disposti a collaborare. Quando si parla di milizie sudanesi bisogna ricordare che ci sono anche gruppi del Darfur, dunque sia arabi che non arabi”, aggiunge Gazzini. E’ impossibile conoscere il numero esatto di combattenti mercenari sudanesi e ciadiani in Libia. “Per quanto riguarda i ciadiani, le stime sono di 1.000-1.500 (mercenari) tra Fact e altri due gruppi dell’opposizione. Questi sono basati principalmente a sud di Murzuq, lungo il confine con il Ciad, e rientrano nelle forze affiliate al governo di Tripoli, anche se anni fa nel 2015 erano con Haftar. Seppur inquadrati nei ranghi del governo tripolino, ad oggi non sembrano essere operativi”, precisa l’analista. I combattenti sudanesi, invece, sono per lo più dislocati nell’est e nel sud-est della Libia. “Sono usati attivamente dalle forze di Haftar per lo più come guardie. Dove siano basati esattamente è meno chiaro. Sembra che siano dislocati nelle varie installazioni controllate da Haftar, che siano aeroporti, terminal petroliferi o pozzi”, conclude Gazzini. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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