Quelle che si sfideranno alle elezioni generali di domenica 2 ottobre sono due versioni potenzialmente opposte del futuro economico del Brasile. C'è quella del presidente uscente, Jair Bolsonaro, che vuole continuare a spingere sul pedale delle privatizzazioni e sciogliere sempre più le briglie al mercato, senza mai perdere di vista l'equilibrio fiscale. E c'è quella del leader di sinistra, Luiz Inacio 'Lula' da Silva, favorito dai pronostici della vigilia, che riporta alle parole d'ordine dei suoi precedenti governi: investimenti pubblici su infrastrutture, spesa sociale e crescita inclusiva, frenata sulle privatizzazioni. Due modelli a loro modo paradigmatici, in uno scontro che ben sintetizza la dualità di pensiero che attraversa non solo il Brasile ma tutta l'America latina. Pur sferzato dalla crisi pandemica e dalle ripercussioni di quella nell'Est Europa, il Paese ha chiuso il secondo trimestre del 2022 con una crescita del pil del 2,5 per cento su anno e ad agosto, nel surriscaldamento globale dei prezzi, è uno dei pochi a poter vantare una pur debole deflazione. La solerte stretta operata dalla Banca centrale, per controllare un'inflazione comunque lontana dal tetto fissato, potrebbe però frenare la crescita, mentre distribuzione dei redditi e quote di povertà rimangono temi ancora caldi. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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