L’Ucraina da mesi chiede ai Paesi occidentali di fornire sistemi d’arma di vario tipo per respingere l’invasione russa ma, stante la volontà espressa dal G7 e dalla Nato nei recenti summit di Elmau e Madrid di continuare a sostenere la difesa del Paese, difficilmente sarà possibile sostenere richieste così ingenti. Nella lista presentata dalle autorità di Kiev alle nazioni alleate figurano mezzi pesanti, compresi carri armati, o armamenti all’avanguardia, come i droni d’attacco. A metà giugno, il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak ha elencato le forniture che servirebbero all’Ucraina per “pareggiare” in qualche modo il rapporto di forze con la Russia: si tratta, tra gli altri, di 300 lanciarazzi multipli Mlrs, 500 carri armati, mille droni e almeno 2 mila veicoli corazzati. Richieste evidentemente cospicue che i Paesi della Nato, in particolare quelli europei, non sembrano in grado di poter assecondare dato il numero di armamenti attualmente in dotazione. Come riferito ad “Agenzia Nova” dal generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore, l’Ucraina afferma di aver bisogno di una “grande quantità di armi di qualità” ma difficilmente le nazioni europee possono venire incontro ad esigenze di questo tipo, e la ragione è banalmente la mancata disponibilità di risorse tali da garantire una fornitura di mezzi e sistemi d’arma all’altezza della situazione.
Quella in Ucraina, ha spiegato Bertolini, “è una guerra convenzionale”, dove c’è largo uso di fanteria, artiglieria e carri armati. Di conseguenza, “il tasso di consumo dei mezzi è enorme”. Le richieste delle autorità di Kiev, primo tra tutti il presidente Volodymyr Zelensky, “non sono fucili o mitragliatrici ma armi di una certa complessità, tecnologicamente avanzate”, ha detto il generale. Un esempio evidente sono i droni, sistemi “impegnativi a livello tecnologico e costosi”. Anche i carri armati “sono armi costosissime e sicuramente le quantità richieste sono notevoli”. “Molti Paesi, come anche l’Italia, hanno tirato la cinghia e fornito armi”, che però sono spesso quelle in surplus, che non servono direttamente all’esercito. “Non abbiamo centinaia di carri e tutti i droni che Zelensky vorrebbe”, ha aggiunto Bertolini, secondo cui alle nazioni europee “viene richiesto uno sforzo improbo”.
Stando ai dati del rapporto “The Military Balance” pubblicato dall’International Institute for Strategic Studies (Iiss) britannico, nessuno dei principali eserciti europei (Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Grecia, Polonia e Spagna) ha mediamente a disposizione più di 200 carri armati da combattimento (main battle tank- Mbt) che siano considerati all’avanguardia. Diversa la situazione per i mezzi considerati “in disuso” o tecnologicamente superati, la cui disponibilità varia a seconda dei casi: la Polonia dall’inizio della guerra avrebbe inviato infatti all’Ucraina circa 200 carri T-72, ma si tratta in larga parte di veicoli tenuti ormai nei depositi e che difficilmente potrebbero fare la differenza contro modelli più recenti e avanzati. “Gli Stati Uniti hanno possibilità diverse”, spiega Bertolini, ma l’Italia farebbe difficoltà a fornire anche solo una quota delle armi giudicate necessarie da Kiev, e “il discorso non cambia per la Germania, che ha subito un ridimensionamento non indifferente” dei mezzi militari, così come la Francia. Stando ai dati dell’Iiss, i due Paesi prima dell’inizio del conflitto in Ucraina avevano a disposizione, rispettivamente, 245 e 222 dei sopracitati carri armati da combattimento – la Francia ha in dote anche 247 mezzi d’assalto –, oltre a 651 e 2 mila veicoli corazzati di vario genere: tuttavia, è difficile stabilire quanti di questi siano effettivamente operativi e quanti in manutenzione o con necessità di revisione. Non a caso la Germania, dopo aver subito dure critiche per le incertezze nelle forniture di armamenti, ha deciso di inviare degli obici – così come i Paesi Bassi –, un equipaggiamento per cui poteva contare su 252 unità, stanti i dati dell’Iiss, prima dell’inizio del conflitto.
In quest’ottica, fondamentale è “il surplus”, spiega il generale Bertolini, perché “non possiamo disarmare il nostro esercito per armare quello ucraino”. Si tratta, secondo Bertolini, “anche di una questione etica, perché le forze armate sono destinate a difendere il popolo che le esprime”. Nello specifico, l’Italia ha delle limitazioni fortissime nelle eventuali forniture all’Ucraina, considerando che nell’esercito nazionale “i carri efficienti sono nell’ordine delle decine”: i dati dell’Iiss indicano 200 carri Ariete e 251 Centauri a disposizione, ma non tutti sono evidentemente pronti all’impiego operativo. C’è una maggiore disponibilità di mezzi pesanti – 432 vari tipi di mezzi di fanteria –, “ma non di droni”, spiega Bertolini, le cui parole sembrano trovare conferma nei dati del rapporto “The Military Balance” secondo cui l’Italia può contare al momento su uno squadrone (dagli otto ai 12 velivoli) composto da mezzi da ricognizione MQ-9 Reaper e RQ-1 Predator. Un altro tema è quello delle munizioni, “che non crescono sugli alberi, bisogna attingere alle scorte”, ma anche sotto questo punto di vista in Italia ci sono capacità limitate. Le operazioni di pace condotte dalle nostre Forze armate negli ultimi decenni “hanno richiesto poco munizionamento e quindi esso si è ridimensionato”, ha evidenziato il generale. A questo si aggiunge il problema costituito dall’armamento che i Paesi europei possono inviare all’Ucraina, dal momento che esso “non è uniforme”. “Un carro armato Ariete è diverso da un Leopard 2 tedesco. Cambia il munizionamento, cambia il carburante utilizzato e il tipo di addestramento richiesto”, ha osservato Bertolini.
Gli Stati Uniti sono probabilmente l’unico Paese “con un surplus considerevole”, ma sempre di mezzi non all’avanguardia, e in quest’ottica bisogna tenere in conto anche la questione del rafforzamento della Nato sul fronte orientale, come deciso al summit di Madrid, di fronte al quale “non possiamo sguarnire i nostri eserciti”. Gli Stati Uniti dispongono effettivamente di migliaia di carri armati da combattimento, motivo per cui Kiev potrebbe rivolgersi principalmente a Washington per vedere soddisfatte le proprie richieste. Agli Usa si aggiunge il Regno Unito, il vero “falco” in Europa fra i Paesi che stanno sostenendo militarmente l’Ucraina: nelle ultime settimane le forze britanniche hanno addestrato all’utilizzo dei sistemi Mlrs centinaia di militari ucraini in un campo situato nella contea del Wiltshire, nel sud ovest dell’Inghilterra. Inoltre, Londra ha acquistato 50 obici L119 (con una gittata da 12 chilometri) da donare all’Ucraina, non attingendo direttamente alle sue riserve. Stando ai dati dell’Iiss, il Regno Unito dispone di 227 carri armati da combattimento, oltre a un migliaio di veicoli di fanteria, ma l’addestramento necessario per questi mezzi è decisamente più lungo e complicato rispetto a quello per gli Mlrs, oltre al fatto che non si può stabilire con certezza quanti di questi mezzi siano già in attività operativa.
Finora, tra promesse e consegne realmente effettuate, l’Ucraina potrebbe aver ricevuto dall’inizio della guerra circa 270-300 carri armati, 50 lanciatori Mlrs e probabilmente obici da 155 millimetri. Si tratta però di una porzione limitata delle forniture giudicate necessarie dalle autorità di Kiev, senza considerare l’alta incidenza delle perdite a cui è sottoposto attualmente l’esercito ucraino. In conclusione i limiti alle richieste presentate dall’Ucraina sono di diverso tipo e appare difficile trovare una soluzione che attinga direttamente dall’equipaggiamento in dotazione agli eserciti europei. “Servono armi tecnologicamente aggiornate e con una dotazione di munizionamento adeguato. Se si tratta di armi in surplus, il munizionamento nei depositi non è in quantità sufficiente”, ha osservato il generale Bertolini. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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