Il vicepremier del governo designato della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Ali al Qatrani, ha invocato la necessità di riaprire il caso dei cinque giovani libici condannati in Italia per la strage di migranti del 2015, impegnandosi a dare seguito a questo dossier “personalmente”. Lo ha riferito l’ufficio stampa del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn), non riconosciuto dalla Comunità internazionale e con sede provvisoria a Sirte, sulla sua pagina Facebook ufficiale. Qatrani ha incontrato ieri a Bengasi le famiglie dei detenuti libici in Libia, alla presenza del presidente della commissione Affari esteri del parlamento di Tobruk, Youssef al Aqouri, del ministro dei Lavori pubblici del Gsn, Nasr Sharh al Bal, dell’esperta di affari libici e analista senior dell’International Crisis Groups, Claudia Gazzini, e degli avvocati della difesa dei giovani libici incarcerati in Italia.
L’incontro di Bengasi ha esaminato il dossier dei giovani libici “incarcerati in Italia dal 2015 e condannati a 30 anni di carcere dalla magistratura italiana”, rilevando che “l’ambasciata libica in Italia è consapevole del caso, ma non ha fatto alcun passo avanti”. Ambasciata che, è bene ricordarlo, è senza ambasciatore dopo la sospensione del capo missione Omar Tarhuni in attesa del completamento delle indagini per presunta corruzione. La nota del governo sottolinea “la necessità di attivare l’accordo di amicizia italo-libico firmato tra i due Paesi nel 2008 e di trarne vantaggio, soprattutto per quanto riguarda la clausola di scambio dei prigionieri”. Da parte sua, il presidente della commissione Affari esteri della Camera ha sottolineato la necessità di dialogare con i vertici del Parlamento in Italia per riesaminare il caso e raggiungere una soluzione che porta alla liberazione dei “giovani imprigionati”.
Il riferimento è ai cinque libici – tra i cui quattro calciatori Alaa Faraj al-Maghribi, del club Ahly Bengazi, Abdel-Rahman Abdel-Monsef e Tariq Jumaa al-Amami, del club Tahadi di Bengasi, e il giocatore Mohamed Essid di Tripoli – condannati in Italia per omicidio plurimo e traffico di esseri umani. La storia dei risale al 2015 quando i libici, allora poco più che ragazzi, pensavano di entrare a far parte di uno dei club europei, in particolare in Germania, ma non riuscirono a ottenere il visto di viaggio, quindi pensarono, secondo la versione delle loro famiglie, di ricorrere all’immigrazione clandestina, salpando con altri migranti dalla città di Zuwara (120 chilometri a ovest della capitale) verso Italia. Ma qualcosa è andato storto e nel barcone partito il 14 agosto 2015 dalle coste libiche muoiono per asfissia 49 persone rinchiuse nella stiva. I 313 migranti e 49 cadaveri vengono fatti sbarcare a Catania e i libici finiscono nelle mani della polizia italiana: dopo essere stati sottoposti a processo, i cinque sono stati condannati a 30 anni di reclusione per “immigrazione illegale e tratta di esseri umani”. Accuse che però i giovani negano nella maniera più assoluta. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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