a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana )
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a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana )
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Secondo il Movimento delle persone colpite dalle dighe (MAB), una delle dighe nella comunità dell'Aurizona, a Godofredo Viana, nell'estremo ovest del Maranhão, a 338 chilometri da São Luis, ha sfondato giovedì mattina (25). Gli sterili avrebbero contaminato il fiume Tromaí .
L'operazione, che è di responsabilità della società mineraria Aurizona, appartiene al gruppo privato canadese Equinox Gold. È la più grande riserva di minerali d'oro del Brasile e una delle principali al mondo.
In una nota, la società canadese non ha confermato la violazione. “Non c'è stato alcun impatto sulla sua struttura operativa, come dighe e altre strutture, che sono intatte e funzionano normalmente. In altre parole, non c'è stato alcun cambiamento nella sicurezza e stabilità delle strutture operative, soprattutto nella diga degli sterili ".
Tuttavia, i residenti hanno pubblicato immagini che mostrano il comune coperto di fango per tutto il giorno. Inoltre, la perdita avrebbe bloccato l'accesso all'unico ingresso della città, lasciando diverse persone nell'impossibilità di entrare e uscire dalla città.
"La contaminazione di minerali di questo tipo nei corpi idrici può causare una serie di impatti sociali e ambientali sulla vita della popolazione colpita, come l'insorgenza di diverse malattie, oltre all'aumento della povertà e della disuguaglianza sociale, come è avvenuto in Brumadinho, Minas Gerais ", ha detto il MAB.
(Fonte BRASIL DE FATO)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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Il defunto presidente della Tanzania, John Magufuli (foto in basso), sarà sepolto oggi nella sua città natale di Chato, nel nord-ovest del Paese. Lo riporta la stampa locale, secondo cui la presidente Samia Suluhu Hassan - che ha assunto la guida del Paese dopo la morte di Magufuli, di cui era la vice - sarà presente alla cerimonia di sepoltura. I funerali di Stato si sono svolti lo scorso 22 marzo nello stadio Jamhuri della capitale Dodoma alla presenza di 10 capi di Stato africani. Magufuli, al potere dal 2015 con il soprannome di “Bulldozer”, è morto la scorsa settimana all'età di 61 in seguito a complicazioni cardiache. Magufuli non compariva in pubblico dal 27 febbraio scorso e la sua assenza prolungata aveva fatto discutere l’opinione pubblica della Tanzania, alimentando le voci più disparate su una sua presunta malattia. A lanciare per primo illazioni in tal senso era stato il principale leader dell’opposizione, Tundu Lissu, il quale ha rivelato di aver appreso da fonti mediche e della sicurezza che Magufuli sarebbe stato trasferito all'ospedale privato di Nairobi, in Kenya, e da lì in India in stato di coma. A sua volta, il quotidiano keniota "The Nation" aveva citato fonti politiche e diplomatiche secondo le quali un leader africano, di cui non è stato precisato il nome, era in cura per Covid-19 all'ospedale privato di Nairobi, sotto ventilatore. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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“Stavo lavorando come Vicario generale nella diocesi di Malakal ed ero – e sono – molto soddisfatto della mia vocazione e della mia vita di missionario. Credo che il Papa abbia scelto me perché c’era bisogno di una presenza giovane, energetica che ripercorresse le orme di Cesare Mazzolari (il precedente Vescovo di Rumbek, morto nel 2011. Da allora la sede era vacante, ndr). Era un Vescovo amatissimo dal popolo e i fedeli della diocesi chiedevano qualcuno in continuità, orientato sulla pastorale. Cesare era comboniano come me e spero di imboccare quella strada, con una risposta umana e umanitaria”. Si presenta così all’Agenzia Fides Mons. Christian Carlassare, il nuovo Vescovo della diocesi di Rumbek, il Vescovo italiano più giovane a servizio della Chiesa, da 16 anni in Sud Sudan. Lascia Malakal, nello Stato dell’Alto Nilo, e si immerge in una nuova realtà, nello Stato dei Laghi. La sua storia di passione per il Sud Sudan, quindi, continua e si approfondisce, nel solco di una presenza di vicinanza della Chiesa cattolica al più giovane Paese del mondo (creato nel 2011).
“Credo sia necessario fare un passo in avanti nella formazione catechetica, nell’ evangelizzazione. Il mio predecessore aveva dato vita a un primo centro catechistico, ma era un periodo molto difficile, prima dell’ indipendenza. È arrivato il tempo di rilanciare l’opera pastorale e di evangelizzazione diretta. A Rumbek vivono un milione e 800mila persone, i cattolici battezzati sono 200mila mentre 800mila i protestanti. La Chiesa cattolica, in ogni caso, è vista da tutti i fedeli, anche di altre religioni, con grande rispetto, sia per la tradizione di vicinanza al popolo nei campi sociale e sanitario - oltre che di promozione della pace -, sia per quanto Papa Francesco sta portando avanti con il suo interesse costante verso il Paese. Per noi sarà fondamentale mettere al centro Cristo e favorire l’esperienza di Cristo. Si può avere tanta gente in chiesa ma percepire una limitata esperienza della presenza di Gesù”.
La giovane età di Mons. Carlassare è in linea con le esigenze di un popolo di fedeli molto giovane e di una popolazione che per più del 50% ha meno di 18 anni. Le nuove generazioni si stanno avvicinando con maggiore intensità alla fede cristiana.
“Da noi i cristiani rappresentano il 60% della popolazione, poi c’è un 8% di musulmani, e il resto animisti, per meglio dire, fedeli delle religioni nilotiche. Ciò che mi ripropongo di fare nei primi tempi della mia nuova missione è mettere su strutture diocesane che promuovano ministerialità per mettere a disposizione del Paese una Chiesa sempre più collaborativa, capace di valorizzare ciò che ognuno può offrire. E poi puntare sulla formazione dei catechisti e di chi si occupa della liturgia. La Chiesa deve essere fondata sul contributo dei laici, anche per il basso numero di ministri ordinati, possiamo puntare su piccole comunità cristiane fatte da laici, che fanno fatica, però, a crescere, non per incapacità, ma per il permanere del conflitto”.
La guerra resta il problema principale del Sud Sudan. Nonostante l’ accordo di pace del 2018 e il tentativo di governo di unità nazionale inaugurato a novembre 2019 (che reggono ma restano estremamente fragili), resta il conflitto che insanguina il paese dal 2013, due anni dopo la proclamazione dell’indipendenza. Gli oltre 400.000 morti e i milioni di transfughi interni ed esterni, marcano ferite tuttora sanguinanti e spiegano la fatica di una ripartenza in cui sia la riconciliazione nazionale a dominare la scena.
“Tutta la popolazione si definisce ‘traumatizzata’ e si nota quotidianamente: c’è tanta paura, è molto difficile immaginare un programma a lungo termine. In questo senso la Chiesa gioca un ruolo fondamentale e, sebbene sia chiaro che siamo ancora lontani da uno stato di pace definitiva, vediamo con speranza gli ultimi sviluppi. Dal famoso bacio del Papa a Roma ai piedi dei leader politici convocati per la Pasqua esattamente due anni fa, molte cose sono cambiate ed è indubbio che i responsabili delle fazioni abbiano sentito nel profondo la responsabilità a superare le divisioni. Vediamo che c’è un impegno in campo politico. Ma persistono molti problemi: se a livello nazionale tutti parlano di pace, a livello locale le piccole comunità restano molto ferite da 8 anni di conflitto. Nell’Alto Nilo, ad esempio, c’è il grande problema della terra che scatena scontri tribali sui confini, ma è impensabile, come qualcuno chiede, dividere il territorio tribù per tribù. La Chiesa va oltre le tribù ed è presente tra tutti i gruppi, ma le scelte sono dettate più dall’economia che dai valori. Lo sfruttamento del petrolio è uno degli elementi più catastrofici”.
Oltre al noto gesto del Papa, che non perde occasione di parlare e invocare riconciliazione per il Sud Sudan, la Chiesa promuove un’azione capillare di promozione della pace: “Vi sono uffici di Giustizia e Pace nelle diocesi che incontrano le comunità locali e cercano di risolvere le divisioni con un approccio evangelico. Gli operatori raccolgono inoltre informazioni su ciò che accade, le ingiustizie perpetuate e, oltre a provare a sanarle, le riportano al governo anche come riflessione e segnalazioni. Per noi è fondamentale inserire persone con una formazione cristiana all’interno delle realtà che si occupano della amministrazione della giustizia. Poi c’è un forte impegno a livello nazionale grazie al Consiglio Ecumenico delle Chiese, molto attivo anche nei processi di cura dei traumi. Vi sono molti esempi concreti di come la Chiesa agisce sul territorio per favorire la pace. C’è la Malakal peace iniziative, organizzata da gruppi ecclesiali per favorire il dialogo tra etnie Scilluk e Denka. Alcuni progetti hanno avuto un incredibile successo riuscendo a mettere insieme persone che non si erano mai incontrate prima. Il Vescovo emerito mons. Paride Taban, poi, ha promosso il 'Kuron peace village', un villaggio dove persone di diverse tribù vivono e lavorano insieme pacificamente. Vi sono, inoltre, tutte quelle situazioni in cui le scuole gestite dai religiosi accolgono giovani da tutto il paese dove c’è armonica convivenza, al di là delle diverse appartenenze tribali”.
Comincia la nuova avventura di un Vescovo giovane in un popolo giovane, con una missione importante, a cominciare dalla conquista della fiducia della sua nuova gente: “Sono rimasto meravigliato dai tanti messaggi di apprezzamento da tantissime persone, soprattutto dai giovani. Per prima cosa mi metterò in ascolto degli agenti pastorali, i preti diocesani, i catechisti e poi dovrò immergermi per identificarmi con questo popolo”, conclude.
(Fonte AGENZIA FIDES)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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“La pandemia ha messo in evidenza altri tipi di malattie che esistevano già in precedenza: la mancanza di fratellanza e le barriere che separano i ricchi e i poveri. C’è chi può accedere ai più alti livelli di studi e di istruzione chi non ha neanche la possibilità di aprire un libro; c'è chi può andare nei migliori ospedali e chi non ha a disposizione neanche il paracetamolo. Certamente il Covid-19 ha esasperato tutto ciò: pensiamo alle disposizioni sanitarie più semplici come lavarsi le mani o vivere distanziati. In molte parti del mondo non c’è acqua e vi sono famiglie di 6-7 persone che vivono in spazi ristretti. La pandemia, inoltre, ha messo sotto gli occhi di tutti le priorità sbagliate del nostro mondo: non abbiamo mascherine, ma c’è denaro per armi e altri strumenti di guerra”. Così si è espresso il Cardinale Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, durante il webinar “Toccare le ferite del mondo. Credere al tempo della Pandemia”, organizzato da Festival Francescano, Editrice Missionaria Italiana e Antoniano di Bologna.
Il Cardinale Tagle ha raccontato le ferite di questo tempo, rileggendole secondo una prospettiva di speranza: “Vi sono tanti tipi di ferite causate dalle nostre scelte sbagliate, autoinflitte. Ci sono poi ferite causate dall’esterno, da altre persone, da sistemi e strutture di indifferenza e disuguaglianza. Vorrei ritornare al 27 marzo dell’anno scorso, in quella piazza San Pietro così vuota: nel corso di quella bellissima preghiera, il Santo Padre ci ha offerto un grande dono di fede, ricordandoci che l'incarnazione di Gesù Cristo è la vicinanza di Dio a tutti i sofferenti. Nessuno cammina da solo, nessuno soffre da solo, nessuno muore da solo: questa è la medicina, Cristo Gesù. Da qui nascono le ferite dell’amore: i volontari, gli infermieri, le suore, i vescovi, i laici che erano e sono pronti ad essere contagiati entrando nei posti pericolosi, dimostrano di essere pronti a farsi ferire dall’amore, dalla solidarietà. Quando una persona ama, è pronta ed essere ferita”.
Come ricordato dal Card. Tagle, proprio dopo la preghiera del 27 marzo 2020, Papa Francesco ha convocato una task-force per rispondere alle necessità dei paesi più poveri e per progettare un futuro di vicinanza dopo il Covid: “La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, la Caritas, il Dicastero per lo sviluppo umano integrale e altre realtà della Chiesa sono state chiamate per dare ognuna il proprio contributo. Il nostro Dicastero di Propaganda Fide, per esempio, ha aiutato le Chiese locali, specialmente nei bisogni cosiddetti istituzionali, per esempio per fornire cibo e beni sanitari e di prima necessità nelle terre di missione. Alla Caritas è stata affidata, invece, la missione di educazione e formazione delle comunità locali, per essere pronti a affrontare la pandemia, per aiutare le comunità a non dipendere totalmente dai loro governi”.
Nella missione della Chiesa, al di là dell’emergenza pandemica, ha detto il Card. Tagle, c’è anche la necessità di rispondere in modo credibile a una crescente secolarizzazione, legata a una globalizzazione “che non è solo un fatto economico, ma anche di cultura”, dice il Cardinale. “Non è possibile avere scudi o barriere per proteggere la gente dalla circolazione di queste idee, ma questo non rappresenta un problema, bensì una sfida che ci porta a valorizzare la nostra fede”.
Infine rispondendo a una domanda sull’accordo Santa Sede-Cina il Cardinale Tagle ha detto: “Sono ottimista sulla Cina. So che il nostro Papa san Giovanni Paolo II aveva il sogno di andarci, e sono certo che sia anche il sogno di Papa Francesco. Speriamo che l'accordo tra Cina e Santa Sede, seppur limitato e non perfetto, apra le porte a questa possibilità. La diplomazia con gli asiatici è spesso sorprendente: quando non ci si aspetta una porta aperta, si aprono subito anche le finestre”. (Fonte AGENZIA FIDES)
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La Francia ha “un debito con la Libia, molto chiaro: un decennio di disordine”. Così si è espresso il presidente Emmanuel Macron nell’incontro con i leader libici avuto martedì all’Eliseo. Parole che suonano come un’ammissione di colpa. Nel 2011, la Francia, guidata dall’allora presidente Nicolas Sarkozy, promosse e partecipò all’intervento che portò alla caduta del leader libico Muammar Gheddafi. Una caduta che ha avuto forti ripercussioni nel Sahel.
Per la prima volta, un capo dello Stato francese ha riconosciuto ufficialmente la responsabilità di Parigi nei disordini che da dieci anni agitano la Libia e parte dell’Africa. I presidenti del Sahel si lamentano regolarmente delle conseguenze dell’intervento dell’Occidente contro Muammar Gheddafi nel 2011: la sua caduta non solo li ha privati dei finanziaria di Tripoli, ma ha anche favorito la diaspora di combattenti armati in tutta la regione.
Secondo l’analista Antoine Glaser, interpellato da Radio France Internationale, Emmanuel Macron con questa ammissione di colpa sta cercando di rimettere piede in Libia dove da tempo Turchia, Russia e Italia occupano posizioni rilevanti. La Libia, oltre alla sua ricchezza petrolifera, è un Paese chiave per il controllo del Mediterraneo e il flusso di migranti. (Fonte AFRICA RIVISTA)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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Italia e Francia hanno superato le loro contrapposizioni sul dossier libico e ora c’è una linea comune dell’Europa per garantire la stabilità del Paese. Lo ha detto la vice ministra degli Esteri, Marina Sereni, a “24 mattino” su “Radio 24”. “Penso che ora ci sia una linea di unione dell’Europa: quando l’Europa si è divisa sulla Libia si sono fatti avanti altri attori, come Turchia e Russia. Oggi che vediamo delle opportunità grazie al nuovo governo e alle elezioni del 24 dicembre e questo è merito delle Nazioni Unite e della Conferenza di Berlino”, ha detto Sereni. In questo momento, ha aggiunto la vice ministra, il nuovo governo “deve essere aiutato” a intraprendere quella “strada di stabilità e sviluppo” chiesta anche dagli stessi cittadini libici. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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Il presidente del Comitato nazionale tunisino per la vaccinazione contro il coronavirus, Hashemi al Zawir, ha confermato che si teme una terza ondata del virus Sars-CoV-2 in Tunisia. Al-Wazir, nonché direttore dell'Istituto Pasteur, ha parlato ieri in conferenza stampa riferendosi in particolare alle varianti a del coronavirus, come il cosiddetto ceppo britannico. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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Almeno cinque civili sono morti oggi in seguito ad una raffica di mortai che ha colpito in Somalia il quartier generale della Missione delle Nazioni Unite e dell’Unione africana (Amisom) nella capitale somala, Mogadiscio. Lo riferisce il sito d’informazione somalo “Radio Dalsan”, secondo cui un numero non precisato di persone rimaste ferite sono state trasportate in ospedale. L’attacco è stato rivendicato dai militanti di al Shabaab sui loro canali online.
Il complesso delle Nazioni Unite preso di mira, noto come Camp Halane, ospita diverse missioni diplomatiche occidentali, comprese quelle di Regno Unito e Stati Uniti, e in questi giorni sta ospitando i nuovi colloqui fra governo federale e Stati regionali filo-governativi nel tentativo di risolvere l’impasse politica che da mesi paralizza il Paese. Il complesso fu preso di mira anche lo scorso 9 marzo in occasione di precedenti colloqui.
Da lunedì scorso il presidente uscente della Somalia, Mohamed Abdullahi “Farmajo”, e i rappresentanti degli Stati regionali filo-governativi e l’amministrazione regionale di Benadir (dove ha sede la capitale Mogadiscio) si stanno confrontando sulle possibilità di attuazione dell’accordo pre-elettorale dello scorso 17 settembre, approvato dal Parlamento federale. Nei giorni scorsi le Nazioni Unite hanno esortato i leader della Somalia a proseguire le riunioni consultive informali per raggiungere un consenso sul processo elettorale, così come da Bruxelles l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha ricordato che la mancanza di accordo ritarda gravemente il ritmo di riforme che sono urgentemente necessarie, a scapito dei cittadini somali. (Fonte Agenzia Nova)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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Ieri 11 persone sono state uccise nell'ovest del Niger, area di frequenti attacchi jihadisti.
Uomini armati in moto hanno attaccato tre villaggi al confine con il Mali, come hanno detto i funzionari locali"Gli aggressori sono arrivati su diverse motociclette alle 17.00 circa, uccidendo tre persone a Zibane-Koira Zeno, un'altra a Zibane Koira-Tegui e altre sette a Gadabo, con una persona ferita", ha detto all'agenzia Afp un funzionario che ha chiesto l'anonimato. Una fonte vicina a uno dei capi dei villaggi ha confermato il bilancio delle vittime risultante dal triplo attacco, l'ultimo di una serie di raid che hanno provocato oltre 300 morti dall'inizio dell'anno. ( Fonte ANSA).
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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