Venerdì 24 aprile 2020, il governo del Mozambico ha ammesso per la prima volta la presenza di combattenti affiliati all’Isis nel proprio Paese. Il riconoscimento pubblico è avvenuto in una fase di escalation degli attacchi terroristici, tra cui quello perpetrato (il 7 aprile) contro un villaggio a Xitaxi, nella provincia settentrionale di Capo Delgado. Stando alle fonti locali, i jihadisti avrebbero ucciso 52 persone dopo essersi rifiutate di aggregarsi al gruppo armato.
Il Consiglio nazionale per la Sicurezza e Difesa, analizzando gli ultimi eventi avvenuti nel paese, ha attribuito la responsabilità delle offensive all’ISIS. In particolare, il riferimento è all’Islamic State Central Africa (ISCAP), cellula terroristica affiliata a Daesh ed attiva in Congo. Secondo l’Unione Africana, negli ultimi mesi del 2018 alcuni militanti dell’ISCAP si sono infiltrati nel nord del Mozambico, beneficiando dei legami con le fazioni armate locali. Da giugno dell’anno scorso, la branca dello Stato Islamico ha rivendicato alcuni attacchi nella regione, pubblicando le immagini dei soldati uccisi e delle armi sequestrate. Negli ultimi mesi, i militanti jihadisti hanno intensificato l’escalation di violenze, dichiarando la loro intenzione di istaurare un Califfato in loco. Nel corso delle loro azioni armate, i combattenti islamici hanno occupato edifici governativi, bloccato strade ed esposto le bandiere dell’Isis nei luoghi conquistati. In questo contesto, ha destato particolare scalpore la conquista (temporanea) della strategica città di Mocímboa da Praia, anch’essa situata nella provincia di Capo Delgado.
Entrando più nello specifico, le insurrezioni e le offensive dei ribelli islamici nel Nord del Mozambico sono iniziate nel 2017. Nei mesi successivi, gli insorti sono riusciti ad estendere il loro raggio d’azione, compiendo attacchi in diversi distretti, corrispondenti a circa un terzo dell’intero territorio della provincia di Capo Delgado. Nel corso delle loro attività, i militanti hanno colpito anzitutto i villaggi della zona, provocando 900 vittime (secondo l’ACLED – Armed Conflict Location and Event Data Project). Inoltre, le instabilità e i disordini hanno spinto circa 200.000 persone a fuggire dalle proprie abitazioni.
A livello locale, il gruppo armato protagonista e responsabile dell’insorgenza armata è noto come Ansar al-Sunna o come al-Shabaab (da non confondere con l’omonima cellula somala). I membri di tale organizzazione sono in prevalenza del Mozambico, con alcune unità provenienti dalla Tanzania e la Somalia. Col tempo, l’insurrezione islamista si è tramutata da minaccia meramente locale ad un problema di carattere regionale, considerando i legami che la leadership di Ansar al Sunna ha iniziato ad intrattenere con altri gruppi terroristici dell’Africa Orientale. Per di più, la lotta armata ha assunto connotati più ampi anche alla luce dell’accresciuta presenza di terroristi stranieri nel nord del Mozambico, come per l’appunto gli esponenti dell’ISCAP. La branca locale dell’Isis avrebbe contribuito a migliorare le capacità operative degli islamisti mozambicani, rendendo le loro azioni più brutali e mortali. Il supporto fornito alle fazioni locali è poi evoluto (come visto sopra) in un coinvolgimento sempre più diretto nelle attività terroristiche, costringendo nelle ultime settimane il governo ad ammettere la presenza dell’Isis nel suo territorio.
Detto ciò, è bene inquadrare la minaccia jihadista in Mozambico in una cornice più ampia che tenga in considerazione una serie di fattori. Da un punto di vista politico, lo Stato africano vive una situazione di enorme fragilità e il suo esecutivo è continuamente messo in discussione per brogli e corruzione dalle opposizioni. Queste ultime, inoltre, hanno contestato il risultato delle elezioni del 15 ottobre, che ha decretato la vittoria del Presidente Filipe Nyusi (eletto per il secondo mandato). Allo stallo politico si aggiunge il problema di un apparato di sicurezza debole e non adeguatamente attrezzato per far fronte all’incombente minaccia jihadista. Difatti, le forze armate nazionali risultano poco addestrate e possiedono un equipaggiamento minimo, il che va a incidere fortemente sul morale degli stessi soldati. Per questo motivo, il governo ha di recente riconosciuto la necessità di ricorrere al supporto internazionale al fine di avviare una pacificazione nel Nord del suo territorio. Un ulteriore fattore che merita particolare attenzione è quello concernente la sfera sociale. La provincia settentrionale è contrassegnata da povertà e disuguaglianza, elementi che nel tempo hanno contribuito ad alimentare l’insofferenza popolare. In più, il malcontento sociale è stato altresì fomentato dalla percezione di un governo corrotto e dalla risposta militare contro gli insorti, talvolta troppo brutale e indiscriminata. Pertanto, secondo il parere di alcuni analisti, le radici dell’insurrezione locale potrebbero dipendere non tanto dalla diffusione di un’ideologia islamista radicale e violenta ma dalla situazione di disagio sociale appena descritta. Al di là di quali siano le reali cause originarie, è indiscutibile che la proliferazione dei gruppi jihadisti sia facilitata proprio dai contesti socioeconomici instabili, dove è più facile sfruttare i malumori della popolazione. Infine, un ultimo aspetto da considerare è quello attinente alla questione delle risorse presenti nella zona settentrionale del Paese. Infatti, la provincia di Capo Delgado è ben nota per i suoi giacimenti di gas e, di conseguenza, l’escalation delle violenze rischia di creare non poche preoccupazioni tra i giganti del settore energetico. Così come rischia di vanificare la promessa del governo di rendere il Mozambico il secondo esportatore mondiale di gas naturale entro cinque anni.
Gli sviluppi futuri nel Paese dipenderanno dalla capacità delle autorità nazionali di rispondere alla minaccia terroristica. Per evitare che il Mozambico possa ben presto divenire una nuova frontiera jihadista, serve pertanto un’azione adeguata ed efficace da parte del governo. Un’azione che non deve limitarsi alle sole operazioni militari (eventualmente con un supporto regionale o internazionale), ma che deve favorire anche lo sviluppo e l’inclusione sociale. In altre parole, serve un intervento complessivo che vada oltre la mera questione securitaria e che contempli diversi fattori, da quello politico a quello socioeconomico.
Fonte : GEOPOLITICA.INFO
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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