C’era una volta, tantissimi anni fa, nell’Africa ancora sconosciuta, un uomo che aveva tanto timore di calpestare la terra perché pensava che, morbida com’era, egli potesse di certo sprofondarci dentro e rimanerne prigioniero.
Se ne stava, allora, sull’uscio della sua capanna, immobile come una statuina intagliata nel legno, ad apprezzare il creato a lui d’intorno e a nutrirsi con due soli chicchi di miglio, che bastavano a saziarlo.
Un giorno, però, il nostro, ormai stufo di starsene sempre senza fare niente tutto il giorno, cominciò a coltivare l’idea che qualcosa dovesse assolutamente, di necessità, cambiare per lui.
Infatti, una delle tante mattine, mentre godeva il piacere della vista del sole, che indorava le colline circostanti e la fertile pianura ben irrigata dal grande fiume, fu attratto da un certo numero di agili ed eleganti gazzelle in corsa.
Stette a lungo ad osservarle e vide che le gazzelle, proprio tutte, nessuna esclusa, calpestavano la terra ma non correvano alcun pericolo. La terra era abbastanza solida sotto il loro ripetuto calpestio.
Così si fece coraggio e s’incamminò anch’egli fuori dalla capanna per provare a raggiungere il bush di cui aveva sentito raccontare dagli anziani e che, fino ad allora, aveva solo potuto immaginare.
E, con una gioia incredibile, all’atto dell’incedere, scoprì che la terra sotto i suoi piedi era abbastanza solida per essere calpestata e che non si correva alcun pericolo di finire in possibili voragini.
Però da quel giorno in avanti la terra per dare a lui e alla sua famiglia il miglio, di cui necessitavano, ebbe bisogno di essere lavorata e lavorata pure sodo.
Pertanto l’uomo da allora in avanti smise d’essere inoperoso e ogni mattina, appena sveglio, al sorgere del sole, andava nei campi vicini a dissodare il terreno, a seminare e a innaffiare. E lo faceva con gioia. Cantava allegro mentre zappava. E ritornava dai suoi sempre soddisfatto ,pensando già a quello che sarebbe stato poi il raccolto a tempo debito.
Nacque così l’uomo agricoltore, quello che noi chiamiamo “contadino”.
Quello che si guadagnava e si guadagna ancora oggi, onestamente, il cibo con la fatica delle suae braccia. Un uomo che dobbiamo imparare ad apprezzare.
Perché il cibo odierno sulle nostre mense, infatti, proviene proprio dalle fatiche di tanti e tanti uomini come lui.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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