Jambo Africa

In Somalia le rivalità claniche e la situazione economica favoriscono adesione allo Stato Islamico

 

 

Da quello che mi è stato riferito gli appartenenti allo Stato Islamico pagano meglio e quindi nella situazione di crisi della Somalia è facile trovare degli adepti” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Giorgio Bertin, Vescovo di Gibuti e Amministratore Apostolico di Mogadiscio, commentando il primo attentato suicida rivendicato dallo Stato Islamico in Somalia, commesso il 24 maggio a Bosaso che ha provocato almeno cinque morti.
“Si tenga conto inoltre che tra gli Shabaab vi sono delle diatribe interne che hanno a che fare anche con problemi di natura clanica. Non mi meraviglierei che qualche Shabaab si arruoli nello Stato Islamico, sia perché non in accordo con la linea della propria leadership, sia per motivi clanici, sia per l’attrattiva economica” dice Mons. Bertin.
“Della presenza dello Stato Islamico in Somalia se ne parla oramai da quasi un anno, in genere nella zona del Puntland, dove si trova Bosaso” aggiunge il Vescovo.
Il Puntland, zona semi-autonoma, ha un’ampia fascia costiera dove si concentravano fino a pochi anni fa le attività della pirateria somala. “In un’area come questa, aperta a traffici di diversa natura, è stato probabilmente facile per lo Stato Islamico impiantarsi” dice Mons. Bertin. Negli ultimi mesi c’è stata una ripresa della pirateria somala. “Può darsi che tra l’installazione dello Stato Islamico nel Puntland e la ripresa delle incursioni dei pirati somali vi sia qualche relazione, ma non è detto” commenta il Vescovo. “Si tenga presenta che la siccità che imperversa nel Corno d’Africa può aver indotto qualcuno a riprendere la pirateria” conclude Mons. Bertin. (Fonte Agenzia Fides)

 

       a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

In Centrafrica sempre più drammatica la situazione anche nella diocesi di Alindao

 

 

Oltre a Bangassou  anche la diocesi di Alindao vive una situazione drammatica. Secondo notizie pervenute all’Agenzia Fides, p. Olaf Derenthal, missionario spiritano (Congregazione dello Spirito Santo) a Mombaye è stato costretto a fuggire domenica 28 maggio, insieme con i suoi confratelli e a diversi membri della sua comunità nella vicina Repubblica Democratica del Congo.
Mombaye si trova nella diocesi di Alindao, nel sud della Repubblica Centrafricana, dove è alta la tensione per il timore di attacchi da parte dei combattenti anti-Balaka. Fino ad ora erano presenti solo le milizie Seleka, con le quali la Chiesa locale aveva trovato un’intesa per impedire violenze, ma negli ultimi mesi, le tensioni sono aumentate per l’arrivo di gruppi armati che si sono separati dalle formazioni principali. A Mobaye tre quarti dei 24.000 abitanti, sono fuggiti verso l'altro lato del fiume, nella Repubblica Democratica del Congo. Circa 5.000 persone sono bloccate sui banchi di sabbia sul fiume Bangui Kété, in attesa di entrare nella RDC.
Ad Alindao sono state uccise almeno 148 persone, mentre 16.000 sfollati hanno trovato rifugio in città. Più di 14.000 di loro sono accolti nelle strutture della diocesi, assistiti da sette sacerdoti e da alcune persone disponibili. (Fonte Agenzia Fides)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

In Egitto stretta su mezzi d'informazione e Ong da parte delle autorità nell'emergenza

 

 

Le autorità del Cairo hanno deciso di rafforzare la stretta sui mezzi d’informazione e gli attivisti di organizzazioni non governative considerate “illegali”, a un mese e mezzo dall’entrata in vigore dello stato d’emergenza sul territorio nazionale dell’Egitto e dopo gli ultimi attentati di matrice jihadista contro la comunità copta del paese. Il presidente in carica, il generale Abdel Fatah al Sisi, ha ratificato lunedì 29 maggio una norma che impone vincoli nuovi e ancor più stringenti alle attività delle associazioni per i diritti civili operanti nel paese. Le nuove norme, scrive oggi il quotidiano Usa “Washington Post” in un editoriale piuttosto critico, "rendono essenzialmente illegale per gli egiziani istituire associazioni indipendenti senza il permesso del governo, e danno all'intelligence e ai servizi di sicurezza l'autorità di controllare la provenienza dei fondi esteri che le finanziano”. (Fonte Agenzia Nova)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Un progetto Ue e Onu per gli sfollati della regione di Benadir (Somalia) e sempre in collaborazione con l'amministrazione regionale

 

 

L'Unione europea, in collaborazione con le Nazioni Unite e l'amministrazione regionale di Benadir, in Somalia, ha lanciato un progetto del valore di 12 milioni di euro per proteggere e sostenere la reintegrazione delle persone sfollate nella regione. Il progetto, denominato "Re-Integ", punta a migliorare le condizioni di vita degli sfollati e dei rimpatriati attraverso l'istituzione di sistemi di governo che regolino il loro diritto all'alloggio, alla terra e alla proprietà, nonché all'inclusione sociale e politica. L'attuazione del progetto, si legge in un comunicato della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Somalia (Unsom), sarà guidata dall'amministrazione regionale Benadir insieme alle agenzie delle Nazioni Unite, fra cui l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), Un-Habitat e il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), e alcune organizzazioni non governative tra cui il Centro somalo per lo sviluppo femminile (Swdc), l’Organizzazione somala per l’innovazione e lo sviluppo (Sido) e l’italiana Cooperazione e sviluppo (Cesvi). Il programma sarà finanziato dal Fondo fiduciario dell'Unione europea per l'Africa e sarà attuato per un periodo di tre anni. (Fonte Agenzia Nova)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 

Kenya: il presidente Uhuru Kenyatta da oggi ha inaugurato la ferrovia Mombasa-Nairobi

 

 

 

Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha inaugurato la linea ferroviaria Mombasa-Nairobi. Il progetto, realizzato dalla cinese China Road and Bridge Corporation e finanziato per il 90 per cento dalla banca cinese Exim, è la maggiore opera infrastrutturale intrapresa dal Kenya dalla sua indipendenza. Nei giorni scorsi il governo keniota ha chiesto un finanziamento aggiuntivo di 3,5 miliardi di dollari alla banca cinese. La richiesta è stata avanzata dal presidente Uhuru Kenyatta nel corso del forum “One Belt One Road”, la cosiddetta “nuova Via della seta”, che si è svolto la scorsa settimana a Pechino.

Il nuovo prestito richiesto servirà a realizzare la terza fase del progetto ferroviario Nairobi-Mombasa, a sua volta primo tassello di una rete ferroviaria regionale che collegherà il Kenya a Uganda, Ruanda e Sud Sudan, per un costo stimato complessivo di 13,8 miliardi di dollari. In particolare, la terza fase prevede la costruzione di una linea ferroviaria tra la capitale Nairobi e la città di Naivasha, nella provincia della Rift Valley, progetto che richiederà un investimento complessivo di 1,5 miliardi di dollari. Una volta operativa, secondo le stime del governo di Nairobi, la linea Nairobi-Mombasa fornirà un contributo aggiuntivo all’economia nazionale del Kenya pari ad almeno l’1,5 per cento ogni anno, come spiegato di recente dal direttore esecutivo della compagnia ferroviaria Kenya Railways, Atanas Maina. (Fonte Agenzia Nova)

 

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 

 

Sarraj in Libia ha condannato i ripetuti raid aerei di al Jufra perché minano il processo politico in atto

 

Il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, ha condannato i raid aerei condotti dai caccia dell’aviazione libica sulla zona di al Jufra, nella parte centrale della Libia, a sud di Sirte, affermando che “si tratta di una cosa inaccettabile”. Parlando ieri con una delegazione della città di Hon, che comprende il sindaco e i capi tribù locali, Sarraj ha affermato che “l’escalation militare è da respingere perché potrebbe far fallire definitivamente il processo politico in Libia”. Secondo quanto si legge in una nota pubblicata dall’ufficio stampa del governo di Tripoli sul suo profilo Facebook, Sarraj ha cercato di capire la situazione ad al Jufra e i danni subiti dopo i raid aerei di Haftar. (Fonte Agenzia Nova)

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

Intervento dell' Onu su Marocco e Algeria per risolvere situazione dei profughi siriani

 

 

L'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) si è offerta di assistere e trasferire i rifugiati siriani che-sono bloccati al confine marocchino-algerino dalla metà di aprile 2017. "Quarantuno sono i rifugiati siriani fermi sulla frontiera tra l'Algeria e il Marocco dal 17 aprile 2017. L’agenzia dell’Onu chiede azioni rapide per portare questi rifugiati in un posto sicuro. Sollecitiamo l'Algeria e il Marocco a lavorare con noi per porre fine a queste condizioni pericolose e intollerabili per i rifugiati siriani. Quelli bloccati fuggono dalla disperazione", si legge in un comunicato. "C'è un bisogno imperativo di una rapida soluzione di questo problema e noi invitiamo i due governi ad adottare misure immediate e costruttive per conformarsi agli obblighi umanitari internazionali e ad evacuare questo gruppo vulnerabile", continua la nota. (Fonte Agenzia Nova)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi

In Marocco arrestate 106 mila persone alcune in detenzione provvisoria nel 2016

 

 

Il numero dei detenuti nelle prigioni del Marocco è in costante aumento. Si sono contati quest’anno infatti 106 mila detenuti, per lo più in detenzione provvisoria. Il numero di marocchini che perdono la loro libertà è in costante aumento di anno in anno. Nel 2016, il Marocco ha raggiunto un picco record nel mese di dicembre, con una popolazione carceraria di 80 mila detenuti in diverse prigioni. A riferirlo è il quotidiano marocchino “Al Akhbar Yaoum” sulla base della relazione annuale della delegazione generale per l'amministrazione penitenziaria e la riabilitazione. Quest’anno sono 2.133 i detenuti condannati a pene detentive finali. Tuttavia, 104 mila sono in carcere in attesa di giudizio. Il rapporto affronta anche la spinosa questione del sovraffollamento delle carceri. "Una densità carceraria tale che sta ostacolando gli sforzi per garantire la dignità dei prigionieri, per garantire la loro sicurezza e per stabilire programmi di qualificazione in grado di combattere il fenomeno della recidiva", spiega Mohamed Salem Tamek, delegato generale per la riabilitazione dei carcerati. Il rapporto, le cui linee principali sono citate da “Akhbar Al Yaoum”, ricorda che una prigione nuova è stata aperta nel 2016, mentre il 2015 ha visto l'apertura di 10 carceri. La Delegazione generale per l'amministrazione penitenziaria e la riabilitazione prevede di aumentare il ritmo di lavoro per il completamento di nuove carceri a Tangeri, Berkane, Nador e Smara e mira inoltre a lanciare la costruzione di cinque nuove strutture carcerarie a Tan-Tan, Assilah e Oujda. (Fonte Agenzia Nova)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

In Marocco è stata posta la prima pietra di un Centro di formazione professionale dal re Mohammed VI

 

 

Il re del Marocco, Mohammed VI, ha posto ieri la prima pietra di un centro di formazione professionale multidisciplinare, che sarà diretto dalla Fondazione Mohammed V per la solidarietà per un investimento complessivo di 800 mila euro. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa marocchina “Map”, questo progetto nasce dalla costante volontà del sovrano di offrire loro nuove opportunità, in particolare, per superare il fallimento scolastico e migliorare le loro condizioni socio-economiche e quelle delle loro famiglie. Costruito su un terreno di 1.565 metri quadrati, questo centro, che fornirà formazione professionale, rafforza le numerose azioni intraprese dalla Fondazione nella regione di Rabat-Salé-Kenitra per i giovani, e per inquadrare questo segmento della società, contribuire al suo sviluppo e promuovere l'accesso ai vari strumenti e mezzi di integrazione sociale.
(Fonte Agenzia Nova)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

 

Non si placano nel Rif (Marocco) le proteste dopo l'arresto di Nasser Zefzafi

 

 

L’arresto di Nasser Zefzafi (foto), il disoccupato 39enne leader della protesta popolare che da oltre sei mesi sta scuotendo il Rif, la regione settentrionale del Marocco, non ferma le manifestazioni di protesta in attesa di vedere realizzati gli interventi promessi dal governo in campo sociale ed economico. Ieri sera infatti, al termine della preghiera del Tarawih (che si svolge solo in serata nel mese di Ramadan), si sono registrate nuove manifestazioni non solo ad al Hoceima ma anche a Nador e in altri piccoli centri della zona, dove buona parte dell’economia esistente è legata alle coltivazioni illegali di canapa indiana. Queste rivolte, peraltro, potrebbero essere legate alla decisione delle autorità del governo centrale di Rabat di distruggere i migliaia di ettari di piantagioni e spezzare un traffico considerato come una vera e propria paga per le autorità marocchine.

Situato vicino a Tangeri e a Tetouan, il Rif dispone di un litorale di 120 chilometri e montagne che superano i 2000 metri. L’attrazione principale è tuttavia rappresentata dalla coltivazione di piante di marijuana e dalla produzione del Kif, droga leggera ricavata dall'intera pianta della canapa tritata finemente (foglie e fiori compresi) e mescolata al tabacco. L’hashish prodotto in queste valli è forse il migliore al mondo. Tra i monti del Rif si produce circa il 40 per cento del quantitativo mondiale di hashish, un settore che impiega circa 800 mila persone. Oggi la coltivazione di cannabis è illegale in tutto il Marocco, tranne che in questa zona. Qui la coltivazione è lecita, mentre il trasporto e il commercio sono illegali. Le piantagioni continuano a restringersi per l’azione di contrasto del governo, proprio perché gran parte del raccolto viene destinato alla lavorazione dell'hashish e al contrabbando in Europa. Nelle provincie di Nador, Tetouan e Taounate le colture vengono mantenute nelle aree più inaccessibili ed isolate per evitare l'intervento delle autorità.

Un altro elemento da considerare nella crisi del Rif è legato alle aspirazioni indipendentiste di questo territorio che va da Capo Spartel fino al confine con l’Algeria. Il giovane leader della rivolta sostiene di essere legato per famiglia, storia e ideologia al condottiero Abdelkrim El Khettabi, colui che nel 1921 proclamò la Repubblica confederata delle tribù del Rif ribellandosi alla colonia spagnola, 30 anni prima della transizione politica marocchina che porterà il Marocco all’indipendenza nel 1956. Per cinque anni i "riffiani" (berberi, ispanofoni di seconda lingua e montanari) resistettero, salvo poi capitolare dopo l'intervento di Spagna e Francia unite con l'impiego di carri armati, l'aviazione e gas asfissianti. Per lungo tempo El Khettabi ha destabilizzato, non poco, la legittimità della monarchia Alawita. Il Rif, da parte sua, sostiene di essere stato penalizzato in termini di progetti di sviluppo dal defunto padre di Mohammed VI, Hasan II. (Fonte Agenzia Nova)

 

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)