Ci siamo. E’ soltanto questione di minuti.
Muniti di torcia elettrica , padre Alex e l’infermiere Geronimo, nel buio del pianterreno dell’ospedale cittadino, illuminato solo da flebili luci azzurrine provenienti da alcune camerate,danno inizio alla loro esplorazione.
Fai piano-sussurra padre Alex a Geronimo.
Tranquillo, padre- replica l’altro. Io so quel che faccio.
Non intendo rischiare il posto di lavoro-aggiunge.
Con una tessera magnetica, tipo carta di credito, Geronimo apre la porta della stanza in fondo al corridoio.
Un odore di formalina, come prevedibile, investe immediatamente i nostri, che istintivamente si tappano le narici con un fazzoletto.
Entrano e avanzano fino ad uno sportello metallico che riveste la parete dirimpettaia.
Geronimo lo fa scorrere e uno spettacolo nauseante si presenta alla luce della torcia, che illumina il riquadro.
La sensazione è quella di avere aperto la porta di un freezer in cui ci sono provviste di carne congelata in abbondanza.
Padre Alex ,che ha portato con sé il suo smartphone,quello che Henning gli ha lasciato in prestito per ogni evenienza, nel caso fosse riuscito prima di lui a venire a capo del problema, scatta due o tre immagini.
Non sono certo il massimo a causa del buio ma restano, comunque, una modestissima prova da mostrare alla polizia locale.
Pure se, a dirla tutta e a dirla giusta, quella polizia è decisamente da “operetta”.
Uno squillo di telefono improvviso nell’ ampio atrio fa sobbalzare il cuore in petto tanto a padre Alex quanto a Geronimo.
Geronimo richiude rapido lo sportello metallico a parete e,seguito dal missionario, si avvicina alla porta per origliare meglio e assicurarsi che non ci sia nessuno.
Tutto tace.
L’infermiere di turno, infatti, di sicuro dorme beato.
E così, dopo un po’, anche il telefono smette di squillare.
Con enorme cautela i due amici rifanno lo stesso percorso all’incontrario per raggiungere l’uscita e per montare ciascuno nella propria automobile.
Tutto bene è quel che finisce bene –sottolinea soddisfatto padre Alex.
Si salutano e si danno appuntamento per l’indomani nel locale,che frequentano d’abitudine, e che è nei pressi dell’ospedale.
Fingeranno un incontro per l’aperitivo e intanto stabiliranno il da farsi con Kurt e Henning.
Padre Alex preme sull’acceleratore più che può per raggiungere Bunju. La notte è umida.
E, una volta nella sua camera, rigirandosi nervosamente tra le lenzuola del suo letto, protetto da un’enorme zanzariera, a luci spente,il missionario non può fare a meno di pensare a ciò che ha visto.
Com’è possibile che certe cose accadano e che nessuno dice niente e/o finge di non sapere nulla – ripete a se stesso.
E il pensiero corre a Zoe,quella donna che sa mentire meravigliosamente bene. Che è convinta d’essere una benefattrice e non una complice. E solo perché procura quattro soldi a quella povera gente,che ne ha un bisogno enorme. E che non può permettersi di certo eccessivi scrupoli se vuole mettere qualcosa sotto i denti.
E, poi, quell’avvoltoio del dottor Wung, che si fregia della sua eccellente professionalità di anatomopatologo, di bravissimo docente, ma non ha pietà alcuna per dei resti umani, che meriterebbero piuttosto adeguata sepoltura.
E,ancora, altri poveracci coinvolti che, per qualche dollaro e per qualche birra di troppo, eseguono i suoi ordini e gettano con disinvoltura i resti in discarica.
(continua…)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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