C’è sempre una prima volta, dicono. La prima volta di p. Fabio Malesa in Mozambico risale all’anno 2000.
Era ancora un giovane studente di teologia quando giunse, tra l’emozionato e il preoccupato, a Cuamba , regione del Niassa.
E lì , nel primo impatto con l’Africa non più libresca , p. Fabio ( figlio unico e perciò anche un tantino viziatello) impara, gioco forza, a fare un po’ di tutto.
Come si dice apprende sul campo a fare di necessità virtù.
E’ carpentiere, infermiere, animatore, professore, cuoco.
E dice di sé, scherzando, nei periodici rientri in Italia, che sarebbe stato preferibile che lui non avesse frequentato il liceo classico quanto semmai un istituto d’arti e mestieri.
Di p. Fabio Malesa abbiamo scritto per la prima volta nel 2007 e cioè quando, in un tardo pomeriggio d’ottobre, nella basilica romanico-pisana di San Simplicio, in Olbia (nord-est Sardegna), nella sua città natale, ricevette dal vescovo, alla presenza di genitori, parenti e amici, l’ordinazione sacerdotale.
La sua destinazione, allora, era nota.
E cioé Vilankulo, un’accogliente località, poco distante dal mare, nel sud del Mozambico, per altro anche meta turistica, ma dal nome piuttosto buffo per noi italiani.
Ma Vilankulo era anche un ritorno in quanto, dopo quattro anni di pausa in Italia per il completamento della formazione, p. Fabio tornava dove era già stato diacono e dove, all’occorrenza, aveva fatto anche lì i mestieri i più disparati.
Come accade sempre ,o quasi sempre, quando, in missione, al bisogno non esistono i confort del proprio contesto di provenienza.
Oggi, a Maputo, la capitale, città cosmopolita, dopo sei anni di Vilankulo, di cui conserva un bellissimo ricordo per le esperienze fatte, specie quelle con i giovani, il nostro Fabio ricopre addirittura l’incarico di vice-superiore regionale dei Missionari della Consolata in Mozambico.
E la cosa non meraviglia nessuno (è anche docente universitario presso una università locale), conoscendone le doti umane, spirituali e quelle professionali.
Sì, perché un missionario, oggi come oggi, deve essere di fatto anche un professionista della missione.
In giro, infatti, sotto qualunque cielo, non c’è più gente con l’anello al naso. Né in Africa, né altrove. Per accoglierti e seguirti le persone attendono risposte serie e testimonianze coerenti.
A Maputo p. Fabio regge,coadiuvato da animatori laici, due parrocchie frequentate complessivamente da almeno tremila persone.
L’area urbana è quella di Matola, una periferia in espansione, dove convivono autoctoni, mozambicani giunti da altre città del Paese e persino portoghesi che, per la crisi economica di cui è vittima il Portogallo in patria, hanno scelto di tornare a vivere e a lavorare nell’ex-colonia.
Matola, un contesto variegato, è un quartiere con ricchi e poveri. Non ricchissimi certamente e neanche poverissimi.
Tuttavia il consumismo è giunto anche lì e in questo l’ambiente metropolitano è confondente. Spinge la gente alla competizione per procurarsi ciò che desidera e che non ha e che sa di non poter avere. E possono così accadere anche fattacci spiacevoli ad opera di giovinastri avidi.
P.Fabio, ad esempio, di fattaccio ne ha vissuto ,che è poco, uno di persona, proprio nella casa dei missionari di Matola.
E la cosa è stata davvero terribile se si considera che c’è scappato persino il morto.
Un confratello, il quale si era decisamente rifiutato di consegnare il denaro richiesto a un teppistello e ai suoi complici , penetrato all’interno con l’intento di consumare una rapina.
Ritornando agli anni di Vilankulo il contesto – ci sottolinea p. Fabio – lì era molto più aperto e accogliente. Era fatto di gente semplice, allegra quanto basta (i mozambicani non sono musoni) e sopratutto generosa anche nel poco.
Certamente a Vilankulo non mancavano e non mancano problemi seri come strade dissestate, agricoltura appena di sussistenza(il terreno è sabbioso e costa fatica coltivarlo), malattie endemiche, aids, limitata scolarizzazione ma Maputo, la grande città, per quanto più confortevole per chi la vive, tende a spersonalizzare i rapporti umani. Per fortuna non mancano cordialità e collaborazione da parte, ad esempio, degli animatori o dei catechisti, di quelli che sono responsabili dei differenti settori della pastorale nelle parrocchie . E di tutti coloro che, prima o poi , magari anche per pura combinazione, imparano a conoscere e a stimare da vicino il lavoro dei missionari della Consolata.
Questo spirito di fratellanza costruttiva mitiga la solitudine e aiuta parecchio, in quanto il missionario è anche persona come noi e l’affettività, vissuta correttamente, è importante per lui per affrontare con serenità i pesi della quotidianità.
La politica nella capitale, e nel Mozambico in genere, è presente nella quotidianità della gente comune, purtroppo, con l’onnipotente e l’onnipresente Frelimo, il partito politico, a suo tempo di marcata connotazione marxista, che è al potere parecchi da anni ed è uscito vincitore da una lunga e devastante guerra civile.
Un partito – precisa p. Fabio- che, senza tema di smentita, fa il buono e il cattivo tempo in tutto. E la cosa risulta, persino a un orbo, più che evidente.
In poche parole, senza la tessera del Frelimo in Mozambico non si lavora nell’ambito degli impieghi statali.
E poi, inevitabilmente,esso resta l’antagonista della Renamo, il partito nazionalista che, nient’affatto arresosi per la sconfitta subìta a suo tempo, in vista delle prossime elezioni cerca di dare filo da torcere, come può, all’avversario politico con attentati nelle principali città e nella capitale.
E’ superfluo sottolineare che la corruzione (leggi tangenti), in certi ambienti e per certi sostanziosi realizzo (i contratti) ,è di casa tra i politici, quelli che sono attualmente in sella.
La chiesa missionaria (i missionari della Consolata sono in tutto il Mozambico circa una quarantina con due vescovi di recente ordinazione ) si adopera per una crescita umana e spirituale della gente puntando, per gradi, a una pastorale il più possibile decentrata (distribuzione dei compiti e formazione dei responsabili degli stessi).
Ed è anche quello che sta tentando di fare p. Fabio nelle sue due parrocchie a Matola. E cioè in quella centrale di Santa Teresina del Bambino Gesù, a Liqueleva, e in quella di Santissima Maria Assunta, a Liberdade.
Compito per niente facile in quanto non mancano le resistenze anche da parte di alcuni missionari stessi che, per età anagrafica e/o per consuetudine, stentano ad accettare gli indispensabili cambiamenti.
Chi reagisce in positivo ai cambiamenti è invece la gioventù del luogo,quella che frequenta le due parrocchie, che li accetta e che si sente proprio in quest’assunzione di responsabilità fortemente motivata.
Sono ragazzi e ragazze di formazione cattolica, molti dei quali provengono da ambienti modestissimi, che hanno tanto desiderio di imparare e di poter fare. E questo li distingue dai giovani dei nostri ambienti in Europa e in Italia.
Il sacrificio personale resta un’ottima scuola. La pappa pronta, dovremmo saperlo da casa nostra, produce ben poco.
Ormai la Chiesa africana,quindi anche quella mozambicana, è in crescita, com’è giusto che sia, e l’internazionalità non fa problema.
P. Fabio Malesa l’ha vissuta in seminario prima, da studente, e poi da prete oggi.
E il non costituire problema lo è indistintamente e da sempre per tutti i missionari della Consolata,che hanno aperto missioni persino in Corea del Sud e in Mongolia.
P.Fabio a Matola- mi dice- ha, ad esempio, un vice- parroco ,che è un congolese ,con il quale c’è una buona intesa.
Certamente i preti africani incontrano un po’ più di problemi e di difficoltà per tutta una serie di ragioni (cultura d’origine, provenienza sociale, costumi) facilmente intuibili se si conosce un pochino il mondo africano ma non è neanche detto che sia proprio così.
Ci sono ottimi sacerdoti africani , che la gente rispetta, ama e segue – chiarisce p.Fabio.
Nella conclusione mi è spontaneo domandare se, oggi come oggi, lui, p.Fabio, alla luce della sua esperienza, rifarebbe la stessa scelta, e cioè quella d’essere un missionario,e cosa direbbe a un giovane, che mostrasse interesse per la missione.
E p.Fabio Malesa, senza esitazione e senza neanche troppi giri di parole, mi fa capire che l’essere accanto alla gente che ha bisogno, saperla ascoltare, saperla confortare, prospettarle una speranza fondata sugli insegnamenti della Parola, è una ricchezza impagabile per chi sceglie di farlo.
E , a sera, pure se stanco come un asino gravato da enormi e spesso insopportabili pesi- aggiunge - ti addormenti sereno perché sai di avere fatto gratuitamente la tua parte di “bene”.
Proprio come voleva anni addietro per i suoi figli il beato Allamano, il fondatore dei missionari della Consolata e, anche e soprattutto, come esige la tua coscienza di uomo.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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