Ricordando Susan Sontang ,monsignor Ravasi, cita, nel “domenicale “ del Sole 24 Ore del 27 aprile scorso, il libro che la scrittrice redasse quando, all’età di quarant’anni, fu colpita da una forma tumorale, dalla quale poi, per sua fortuna, guarì.
Il libro in questione è “Malattia come metafora”, che in Italia, negli anni ’70, fu edito da Einaudi.
Ravasi sottolinea in proposito, servendosi dell’esempio di Susan Sontang, un aspetto molto importante del “dramma “ malattia, che prima o poi è un qualcosa che riguarda un po’ tutti.
E cioè che esso deve essere letto, sotto qualunque cielo, quale metafora esistenziale, fondamento ultimo che rimanda alle dinamiche radicali sul senso del limite creaturale.
Un limite che è realtà.
E il “nostro” precisa l’importanza delle risposte metafisiche (unità psico-fisica dell’essere umano da non dimenticare), senza per altro mettere assolutamente da parte, e/o accantonare, il ricorso al percorso scientifico indispensabile ,con tutto il bagaglio esperienziale fatto sul campo, che può dare sollievo e/o soluzione, addirittura, al male stesso.
E, quindi, alla persona.
Gesù ,con le guarigioni di cui ci narrano i Vangeli, propone segni che rimandano a un’ermeneutica trascendente.
Senza operare confusioni di ambiti, e soprattutto senza leggere la “malattia” come colpa, necessita (è l’invito di monsignor Ravasi) comprendere semmai che le guarigioni di Gesù, i cosiddetti miracoli, altro non sono che segnali che la redenzione dal male per la creatura umana, con tutti i limiti del caso, è comunque possibile.
E, come recita l’Apocalisse (21,4) essi significano nient’altro che un piccolo seme deposto nella storia dell’umanità con valenza trascendente.
Rifletterci aiuta o può aiutare.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
A chi volesse approfondire il tema, sempre monsignor Ravasi, propone "Malattia e guarigione" del gesuita belga Guy Vanhoomissen (Qiqajon,Bose,Biella).
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