Siamo giunti alle ultime battute di un mese, l’ottobre, dedicato dalla Chiesa cattolica interamente alla Missione (i) e cioè a fare conoscere quell’andare alle genti di uomini e donne, per taluni decisamente “poco conformi”, i cosiddetti “pazzerelli “ di Dio, i quali hanno scelto di portare, proprio in quanto cristiani, l’annuncio, tanto ai più vicini che ai più lontani, della cosiddetta Parola di Gesù.
Occorre adesso, da parte nostra , tenere ben presente che “missione” però non termina certo con questo scampolo di giorni e di ore.
E poi, il discorso lo si riprende ,con comodo, il prossimo anno, come si è soliti fare con le cose, che non ci occorrono e che momentaneamente archiviamo o conserviamo in un cassetto.
Il credente (non il baciapile) è in “missione” permanente anche quando non è fisicamente sul posto, lì dove egli vorrebbe e/o avrebbe potuto essere.
Egli possiede uno “strumento”, che si chiama “preghiera” e ,grazie ad esso, può essere un autentico “testimone” missionario proprio come la piccola Teresina di Lisieux.
Fratel Michael Davide Semeraro,monaco benedettino, che stiamo imparando a conoscere, ci chiarisce in proposito parecchio sul significato della preghiera, che non è certo un qualcosa di esclusivamente devozionale ed intimistico.
Anche se d’intimità di dialogo tra noi e Dio possiamo tranquillamente parlare in quanto è essenzialmente il “dialogo” tra creatore e creatura il nucleo dell’atto del pregare.
Quello che di certo va evitato – ci ricorda fratel Semeraro - è che questo nostro dialogo non si trasformi assolutamente in un borbottio, in un’autoreferenzialità egocentrica ed edonistica. No,dunque, pensieri chiusi- dice il frate benedettino.
No, a qualsiasi monologo.
Bisogna nell’atto del pregare ottimizzare la nostra capacità di dialogo, in contemporanea, e con il Signore e, soprattutto, con i nostri fratelli.
E come sapere se , in effetti, l’obiettivo è stato centrato?
Misurando, a cose fatte, la nostra compassione (e i gesti concreti che di sicuro da essa scaturiranno) per gli altri assieme alla capacità di consolazione e di accoglienza.
Di accoglienza misericordiosa,che significa l’andare incontro e pregare anche e sopratutto per coloro che non ci piacciono affatto o che ci disturbano comunque.
Non è facile ovviamente.
Ma amare gli amici, per quanto bello e giusto, lo sappiamo già,che non ci arreca merito alcuno.
Una preghiera, che prenda le distanze dai diversi “Giobbe” nei quali, ad esempio, c’imbattiamo quotidianamente (e ce ne sono sempre di più, purtroppo, ai nostri giorni), non è preghiera.
E’ soltanto un puro soliloquio.
a cura di Marianna Micheluzzi
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