Un saggio del celebre storico francese cade come una bomba nel circolo dei "Contemporanei". Mettendo in discussione le celebrità, con una violenta provocazione. Che adesso esce anche in Italia.
Parigi. "La cosiddetta arte contemporanea esprime solo l'orgoglio smisurato di una ristretta élite che, per esibire la propria ricchezza, usa, oltre alle ville e agli yacht, opere dalle quotazioni astronomiche". Per denunciare quella che chiama "l'impostura" dell'arte contemporanea, Marc Fumaroli non va tanto per il sottile. Ai suoi occhi, artisti come Jeff Koons ("protagonista mondiale della non-arte di plastica") o Damien Hirst (il "campione dell'orrore lubrico", il "Michelangelo della tassidermia") sono i perfetti rappresentanti di una deriva che trasforma l'arte in una forma esibizionistica d'intrattenimento, dominata dal denaro, dal marketing e dall'estetica del kitsch. E per denunciare tale deriva, il famoso studioso francese specialista del XVI e XVII secolo, professore onorario del Collège de France e membro dell'Académie Française, ha scritto Parigi-New York e ritorno (Adelphi, pp. 752, euro 48), un lungo ed erudito "viaggio nelle arti e nelle immagini", le cui osservazioni sferzanti in Francia hanno suscitato moltissime discussioni. "Io sono un contemporaneo e amo il mio tempo, ma non sopporto l'arte che sfrutta il richiamo alla contemporaneità come unica qualità", spiega Fumaroli, molto noto anche in Italia per i suoi saggi raffinatissimi, tra cui Chateaubriand. Poesia e terrore, Le api e i ragni. La disputa degli antichi e dei moderni eL'età dell'eloquenza (tutti da Adelphi). "Oggi, il mercato è dominato dal cinismo e dalla speculazione di collezionisti miliardari, i quali riconoscono come opere d'arte solamente un certo numero di oggetti - o meglio di non oggetti - che rappresentano l'antitesi di tutto quello che abbiamo considerato arte fin dalle origini dell'umanità. Tutto il resto viene ignorato".
Come se lo spiega?
"I miliardari che acquistano queste opere non sono legati ad alcuna tradizione locale e non si preoccupano di sapere se le opere acquistate sopravvivranno nel tempo. Pensano solo al presente e al prestigio immediato, alla messinscena della loro fortuna e del loro successo. È un fenomeno senza precedenti, che non è assolutamente paragonabile alla grande stagione dei mecenati italiani del XVI secolo".
L'apertura della fondazione Pinault a Venezia non le sembra un'operazione interessante?
"Non molto, perché propone una realtà artistica slegata da ogni tradizione nazionale che interessa solo una piccolissima élite mondializzata attratta dalla speculazione di tipo finanziario. In questa prospettiva, meno le opere hanno valore, senso e possibilità di durare nel tempo, e più le loro quotazioni lievitano artificialmente. Non a caso, questi collezionisti puntano tutto sullo choc provocato da opere che attirano l'attenzione dei media".
La provocazione è una caratteristica di tutta la storia artistica del XX secolo. Non trova?
"L'arte moderna è stata una magnifica utopia da Baudelaire a Pound, da Manet a Picasso, ma da Warhol in poi essa è stata banalizza, svilita, ridotta a piatta ripetizione di un certospirito Duchamp. Nella cosiddetta arte contemporanea la provocazione si riduce a semplice esibizione di luoghi comuni straordinariamente banali. Ma certo quando s'immerge un crocefisso nell'urina, come ha fatto Andres Serrano, si è sicuri che se ne parlerà per trent'anni. Quel gesto, in cui non c'è alcuna sostanza artistica, è destinato solo a suscitare polemiche. Lo stesso vale per molte opere di Damien Hirst, Jeff Koons o Jan Fabre".
Nel libro lei accusa Hirst e Koons di promuovere un'arte di plastica figlia della pubblicità e del consumismo...
"La loro è un'arte industrializzata che, al posto del lavoro e dell'intelligenza della mano, si affida alla tecnologia e alla ripetizione per fabbricare oggetti fintamente artistici destinati ad un pubblico che, prigioniero di una realtà satura d'immagini a buon mercato, di fatto non sa più contemplare un'opera. La fruizione diventa allora estremamente semplificata e il giudizio estetico si riduce a una logica binaria semplicistica: mi piace/non i piace, m'interessa/non m'interessa, ecc. Si tratta di categorie estetiche molto demagogiche che trasmettono al pubblico dei non specialisti l'illusione della democratizzazione dell'arte".
Il lavoro dei critici e degli storici dell'arte è quindi importante?
"Certo. Sono loro che dovrebbero mettere in relazione il pubblico e i veri artisti. L'arte contemporanea però salta completamente questa mediazione, affidandosi piuttosto agli esperti finanziari che consigliano sul valore degli investimenti in campo artistico".
Non salva proprio nulla dell'arte contemporanea?
"Anselm Kiefer è certamente un artista che sa dipingere, ricollegandosi alla grande tradizione dell'espressionismo tedesco, una delle più importanti scuole pittoriche europee. Un altro artista grandissimo è Lucien Freud, che però ha dovuto attendere molto prima di essere apprezzato. Adesso tutti lo celebrano, ma vent'anni fa nessuno lo voleva esporre perché era considerato troppo realista e figurativo. Questa stessa indifferenza oggi colpisce molti pittori e scultori che non rientrano nei canoni dominanti di un mercato che si permette di paragonare Cy Twombly a Poussin, solo perché le tele dell'artista appena deceduto raggiungono quotazioni impressionanti. Oggi purtroppo, questo mercato dell'arte impazzito contribuisce all'eliminazione delle condizioni tradizionali dell'opera d'arte e della sua fruizione".
Un esempio di queste condizioni?
"Secondo me, l'arte deve nascere dal lavoro della mano che consente al pittore di creare un rapporto con la tela. Allo stesso modo, uno scultore lavora la materia con la mano, facendo entrare la vita e lo spirito nel marmo o nel bronzo. Insomma, senza il lavoro della mano non c'è arte. Ecco perché un video o una fotografia, che dipendono interamente dalla tecnica, non sono vere opere artistiche".
Cosa bisognerebbe fare per invertire la rotta?
"Bisogna tornare nei musei a contemplare in silenzio le opere di valore. Lì s'impara a guardare. E chi sa guardare veramente un'opera d'arte, senza lasciarsi accecare dal luccichio dell'arte contemporanea, sa poi guardare un paesaggio, una persona, ecc. Inoltre, nei musei è possibile ritrovare un legame con il nostro passato artistico che può aiutarci a superare gli effetti perversi della modernità tecnologica. Solo così torneremo ad apprezzare la bellezza".
Oggi ha ancora senso parlare di bellezza?
"La bellezza è un principio critico fortissimo, perché, quando se ne ammette l'esistenza, diventa immediatamente visibile tutto il brutto che ci circonda. Oggi, l'arte contemporanea ha invertito i due fattori, il brutto è diventato ciò che in passato era il bello. Noi però dobbiamo riuscire a sottrarci a questa dittatura, ribadendo la forza della bellezza, che naturalmente non è solo quella del passato. Le sue forme infatti si rinnovano di continuo. Come diceva Dostoevskij, la bellezza salverà il mondo. E ci aiuterà a dimenticare i cosiddetti capolavori dell'arte contemporanea".
"SPAZIO ARTE" di JAMBO AFRICA
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