Ogni anno circa 20mila tra medici e personale paramedico lasciano l’Africa per l’Europa,il Canada e gli Stati Uniti.Riflessioni sul rapporto salute ed industrie farmaceutiche nei Paesi in via di Sviluppo. E non solo.
Una nota storiella inglese racconta delle abitudini dei porcospini durante il periodo del freddo inverno. E riferisce che questi animaletti, quando all’aperto nevica, nelle loro tane, si avvicinano l’un l’altro il più possibile per scaldarsi. Sono però consapevoli del fatto che, se l’abbraccio diventa troppo stretto, essi finiscono col pungersi.
Perché questo preambolo? La metafora del porcospino ha un senso.
Che tipo di rapporto c’è oggi tra i problemi sanitari, o meglio, le emergenze sanitarie nei Paesi in via di Sviluppo e le industrie farmaceutiche a livello mondiale?
L’interrogativo è d’obbligo specie dopo l’eco di cronaca suscitato tempo addietro dalla causa che la Novartis, industria farmaceutica svizzera, ha intentato contro il governo indiano, accusato di violare l’accordo sui diritti di proprietà intellettuale nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
L’ India è il maggiore esportatore di farmaci generici nei Paesi del Terzo Mondo.
Contro la Novartis l’organizzazione “Medici senza frontiere”(Msf) ha , a sua volta, lanciato una campagna, con una raccolta di firme, perché la multinazionale farmaceutica rinunzi all’azione giudiziaria e consenta la produzione di farmaci generici.
La salute globale, si sa, è un tema complesso. In particolare quella dei Paesi in via di Sviluppo, dove qualcosa si è fatto ma moltissimo resta da fare. E lo sanno bene gli operatori sanitari, che lavorano in Africa, Asia ed America Latina. Le multinazionali del farmaco, di contro, sostengono che non è solo questione di costo, di brevetti e di produzione della versione generica del medicinale di marca. A loro avviso c’entrano il funzionamento dei sistemi sanitari locali, gli accordi internazionali, la formazione del personale, la trasparenza, la lotta alla corruzione . Ed è anche quanto viene sostenuto da un’indagine pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
Alcuni risultati dell’inchiesta, ad esempio, in otto diversi paesi africani, illustrano la difficile reperibilità di medicine nel settore pubblico. Parlano di ampia variabilità di prezzi delle specialità. Ossia il farmaco generico, nello stesso posto, può triplicare ed arrivare a costare anche dieci volte di più sia nel settore pubblico che in quello privato. Ci sono differenze di prezzo tra un paese e l’altro, fino all’820% per un prodotto di marca e del 1400% per il generico più economico.
Un impiegato statale, in cinque dei paesi presi in esame, deve lavorare l’equivalente di almeno cinque giorni per un ciclo di terapia antibiotica. Per tacere dei costi impossibili per patologie ben più complesse.
L’ottica del problema, vista dal Sud del mondo, non è però la stessa. Si vuole una medicina più umana. La speranza, nonostante le difficoltà del quotidiano, non muore se viene prima la gente e poi i brevetti. Se gli affari vengono, come è giusto che sia, dopo il discorso salute.
Amref, la fondazione africana di medicina e ricerca, il cui personale è per oltre l’80% africano, di fronte al dilagare di malaria,tubercolosi ed aids, quest’ultima nel continente un’autentica pandemia, ribatte piuttosto di rafforzare l’Oganizzazione mondiale della Sanità, di migliorare le partnership pubblico-privato, d’investire in formazione. E soprattutto di mettere al centro le società civili di questi paesi. Fare in modo che chi opera conosca le realtà socioculturali, anche tribali, per poter fare accettare dalla popolazione interventi e cure.
In contrapposizione alla fuga di cervelli dall’Africa, chi non ricorda l’operato di Annalena Tonelli, missionaria di Forlì,uccisa il 5 ottobre 2003, con i pastori nomadi in Somalia? E quello che continua a fare la dottoressa Chiara Castellani, nella Repubblica democratica del Congo, tra i malati di aids?
Ritornando alle multi nazionali del farmaco l’indipendenza della ricerca è fondamentale. L’industria invece ha interesse a sostenere generosamente il maggior numero possibile di lavori di ricerca sui farmaci solo per riaffermare il modello secondo il quale ad ogni problema si può rispondere con un farmaco. L’autonomia dei medici sperimentatori, a sua volta, è spesso subordinata alle esigenze delle aziende che difficilmente instaurano rapporti con ricercatori meno allineati e più problematici.
Quale modello,allora?
E’ possibile un autentico punto d’incontro tra le esigenze del libero commercio e quelle dei malati?
Interventi sanitari adeguati non solo ridurrebbero il numero dei morti ma avrebbero un effetto benefico sulle stesse economie dei paesi più poveri,dove il prezzo pagato all’egoismo dei ricchi è ancora sempre troppo alto.
Nella enciclica “Populorum Progressio”(1967) è scritto:” Le diseguaglianze economiche, sociali, culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie e mettono in pericolo la pace.Combattere la miseria e lottare contro l’ingiustizia è promuovere il progresso umano e spirituale di tutti…..Lo sviluppo è il nuovo nome della pace.”
E Giovanni Paolo II, nell’incontro di Puebla, nel lontano 1979, disse:”La Chiesa ha il diritto e il dovere di proclamare la verità sull’uomo. Questa verità costituisce la base della vera liberazione.Alla luce di tale verità l’uomo non è un essere sottoposto ai processi economici, ma questi stessi processi economici sono ordinati all’uomo e sottoposti a lui.”
Riconoscere la dignità umana a qualunque latitudine ecco cosa non va dimenticato, se veramente si vuole che la salute sia un diritto di tutti.
Ma gli umani sono spesso di corta memoria.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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