Come ben sapete, in Africa, esistevano un tempo, e ancora esistono oggi, uomini e donne ,che si dedicano in prevalenza all'agricoltura e/o alla pastorizia.
E questo specie in realtà lontane dai grandi centri urbani, dove gli stili di vita, accattonaggio incluso per chi non ce la fa ad integrarsi, sono completamente diversi e non molto dissimili da quelli del "nostro" Nord del mondo.
Voglio dire che le grosse città africane, più megalopoli che città, attualmente pullulano di servizi come qualsiasi altra realtà del pianeta che si possa definire urbanizzata.
Comunque ogni qual volta io penso all' Africa ( e ci penso spesso) mi viene in mente un proverbio tanzaniano, che recita così :"Il gallo di campagna non canta in città!"
Ossia la vita nel villaggio rurale è sempre preferibile, anche nei momenti di difficoltà, a quella dell'urbanizzazione selvaggia e, sopratutto , se la persona in questione è senza "paracadute" alcuno.
Ma veniamo al racconto odierno.
Siamo in Senegal. Esattamente nella terra di Djeri, dove una tribù di allevatori e pastori vive serenamente la propria quotidianità.
Un bel giorno, però, arriva al villaggio inaspettatamente un vitello "smunto".
E' senza padrone e suscita subito le dicerie degli abitanti, che pensano all'istante ad un'apparizione malefica per la comunità.
Solo Djibel, il giovanissimo figlio del più ricco allevatore della zona, Yoro, lo accoglie e chiede al padre di poterlo tenere con sé.
Yoro acconsente. Ma il giorno successivo, quando il figlio è al pascolo, allontana il vitello per sempre dal villaggio anche perché è influenzato dalle dicerie degli anziani, che mal tollerano quella presenza.
Ovviamente Djibel ne soffre e,dopo parecchie discussioni, riesce a convincere suo padre che terrà il vitello, suo amico, cui era affezionato, sempre lontano dalla sua mandria e dalla vista degli altri allevatori, purché gli consenta comunque di riaverlo con sé.
E Yoro cede e accontenta suo figlio, il quale, giorno e notte, diviene inseparabile dal vitello, che crescendo, grazie ai ricchi pascoli, si appresta a divenire, invece, un agile torello"tutta forza".
Improvvisamente, un brutto giorno, sulla zona si abbatte una terribile siccità e quindi una conseguente carestia.
Il pensiero corre subito al vitello "malefico" ma il consiglio degli anziani decide comunque che tutta la tribù, per sopravvivere, deve spostarsi dalla terra di Djeri a quella di Walo.
E così avviene.
Ma anche a Walo, dove vivono molti contadini, le cose non sono semplici.
Pare, infatti, che non ci sia acqua a sufficienza per tutti e dunque per abbeverare il bestiame nell'unico lago della zona.
E, per di più, nel lago di Kael sembra ci sia un mostro che uccide tutti quelli che vi si avvicinano.
I primi tentativi di alcuni pastori, in effetti, sono terribilmente disastrosi.
Nè essi, né le proprie bestie , fanno ritorno.
Lo sconforto è grande quando il "nostro"Djibel si offre volontario in compagnia del vitello macilento, divenuto ormai un torello focoso, per andare al lago e cercare la soluzione del problema per tutti.
Infatti la sua andata è vittoria strepitosa, che tappa la bocca definitivamente alle malelingue.
Il mostruoso drago, presente fino ad allora nel lago e che incuteva tanta paura a tutti, è stato sconfitto misteriosamente dal torello "focoso", che ha per nome Bu Ngari.
Djibel è felice per il suo amico e tutta l'abilità dimostrata.
La comunità di pastori e allevatori, ma anche quella dei contadini, è soddisfatta dell'accaduto.
E così i pastori della terra di Djeri divengono finalmente stabili nella terra di Walo, a nord del Paese.
Convivono in amicizia con gli agricoltori del luogo.
E cosa importantissima: rispettandosi sempre.
E, inoltre, chiamano il nuovo villaggio Bu Ngari, proprio dal nome del ex-vitello "macilento" il quale, piuttosto che malefico, si è dimostrato, sconfessando i maligni, un "vero" amico.
Perché, amici miei (perdonate il gioco di parole) gli amici autentici si sperimentano, appunto, solo e soltanto nelle difficoltà.
Racconto liberamente tratto e adattato da "Storie d'Africa"-Edizioni Dell'Arco-Milano
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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