LO ZAMBIA VOLTA PAGINA / E DICE DI NO ALLA COLONIZZAZIONE DAGLI OCCHI A MANDORLA
Il Paese africano che , dopo la fuga dalle miniere delle compagnie multinazionali europee e americane ,per l’improvviso quanto imprevisto abbassamento dei prezzi dei metalli, dovuto alla crisi mondiale generalizzata, aveva spalancato le braccia alla Cina e ai grandi “affari” cinesi, con la nuova presidenza di Michael Sata, soprannominato “King Cobra”, ha invece cambiato politicamente, in questi giorni, totalmente registro.
Parlo dello Zambia e delle elezioni presidenziali di settembre, che hanno prodotto un’autentica “rivoluzione” nello “statu quo”.
L’elezione di “King Cobra” non è stata una passeggiata, sia chiaro, e, come sempre accade, ci sono stati anche i soliti scontri di piazza con morti e feriti lasciati sul terreno. Tuttavia il positivo della cosa è che la gente in Africa, a partire da Lusaka, capitale dello Zambia, centro nevralgico e vitale per il commercio e i servizi di questo Paese, sta cominciando a porsi degli interrogativi e ad aprire gli occhi sulle nuove forme di colonizzazione come quella cinese. E non solo quella.
Sata ha dovuto sconfiggere un avversario difficilissimo. Ovvero Rupiah Banda, per vent’anni presidente dello Zambia nonché leader indiscusso del “Movement for multi party democracy” (Mmd), fortissimo, e quindi gettonatissimo, specie nei villaggi rurali.
Il movimento politico che ha sostenuto e sostiene Sata è il “Patriotic Front” (PF) che, nel 2008, aveva perso l’opportunità di conquistare la presidenza del Paese per appena 35 mila voti, indipendentemente dagli eventuali e quasi certi brogli dell’una e dell’altra parte, che in Africa sono un classico.
Naturalmente tutte le imprese cinesi, presenti in Zambia, hanno pesantemente finanziato la campagna elettorale di Banda e senza risparmio, coinvolgendo tanto i “media” quanto la tv di Stato.
E questo ha palesato ancora di più ai cittadini l’ingerenza politica dei cinesi, che non è piaciuta affatto.
Non basta, infatti, che a Lusaka ci sia una filiale della Banka of China e che vengano offerti servizi bancari in yen. Si ventila che, a breve, le imprese cinesi inizieranno addirittura ad utilizzare la moneta locale per fare transazioni in dollari USA. Con quello che tutto ciò significa in termini di speculazioni finanziarie ai danni del Paese africano e solo e soltanto per il proprio esclusivo tornaconto.
La presenza cinese in Zambia risale agli anni ’70, quando i cinesi costruirono la ferrovia che attualmente collega lo Zambia alla Tanzania.
Dopo di ciò c’è stato un continuo crescendo, specie negli ultimi dieci anni, del commercio sino-zambiano, che è passato dai 100 milioni di dollari del 2000 ai 2, 8 miliardi di dollari dello scorso anno.
E le miniere di rame, nichel e cobalto, dismesse dalle multinazionali, che hanno lasciato in tutta fretta il Paese alle prime avvisaglie di perdite economiche, sono di compagnie cinesi con la prospettiva di alimentare la crescita della propria potenza industriale in patria.
E, come se non bastasse, il tessile cinese, come un po’ ovunque in Africa e non solo, fa le pulci a quello zambiano e l’elettronica, con la sua massiccia penetrazione, inibisce le potenzialità delle piccole nascenti industrie locali che ci provano in proprio.
Stessa cosa dicasi nel settore dell’allevamento del pollame quasi interamente nelle mani dei cinesi.
Con Banda, amico intimo dell’imprenditoria cinese, alla popolazione civile non era certo permesso protestare. Bisognava magnificare piuttosto i risultati del PIL e poco importa se le condizioni di chi aveva la fortuna di lavorare fossero decisamente disumane.
Con Michael Sata alla presidenza si riuscirà, ora, a cambiare realmente un po' le cose?
Si riuscirà sopratutto a mettere fine alle impunità dei cinesi?
Finirà la repressione selvaggia ad ogni modesta manifestazione di malcontento, giusta tuttavia nella richiesta di riconoscimento dei più elementari diritti umani e civili?
Noi ce lo auguriamo e così pure gli zambiani onesti e laboriosi.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
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