SUDAN / LA GRANDE INCOGNITA
Il prossimo 9 gennaio, quindi a giorni, si voterà nel Sudan per il referendum sull’indipendenza del Sud-Sudan.
L’attesa è grande da parte di tutte le diplomazie internazionali in considerazione della delicatezza dell’evento in quanto è quasi certo che la maggioranza dei votanti si esprimerà per la secessione del meridione dal nord del Paese.
Meridione in cui è concentrata, per altro, la maggior parte delle risorse petrolifere sudanesi, che tanto fanno gola al Nord.
Geograficamente il Sudan, che è il più vasto Paese dell’Africa, comprende tre aree così ripartite: una desertica , che occupa il nord ,piuttosto povera, una tropicale al centro, dove è situata la capitale Khartoum e, infine, a sud la zona ricca di foreste equatoriali.
Il Paese non è molto popolato rispetto ad altri Stati africani, che invece presentano sovente un’elevata densità di popolazione.
La sua gente si dedica, in prevalenza, all’agricoltura o alla pastorizia.
Mentre il commercio è solitamente nelle mani degli stranieri.
L’agricoltura attualmente però sta divenendo sempre più preda di investimenti stranieri in concomitanza con l’aumento dei prezzi delle derrate alimentari,aumento dovuto-si dice- alla crisi mondiale.
Il referendum del 9 gennaio rientra negli accordi di pace scaturiti dopo una lungaggine infinita di guerra, durata oltre vent’anni, e una scia notevole e conseguente di morti.
Accordi, comunque piuttosto deboli, che furono sottoscritti a Nairobi , nel 2005, dal governo di Khartoum con il Movimento/Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese(SPLM/A).
Ora un Rapporto di una società di consulenza economica, la Frontier Economics , insieme al sudafricano ISS(Institute for Security Studies), che si occupa di sicurezza in Africa e alla Aegis Trust campaigns for a sustainable peace in Sudan, prospetta con un certo non troppo utopico timore l’eventualità di una nuova guerra civile tra nord e sud del Paese se, effettivamente, il meridione riuscisse ad ottenere la tanto agognata indipendenza.
Infatti una eventuale nuova guerra, secondo questi esperti, verrebbe a costare oltre cento miliardi di dollari e centinaia di migliaia di vite umane.
Gli scenari che i ricercatori ipotizzano sono quattro: pace,conflitto di bassa intensità, guerra di media portata, guerra ad alta intensità.
Conti alla mano, trattandosi appunto di previsioni economiche, una guerra ad alta intensità della durata di dieci anni causerebbe per il Sudan (Nord e Sud insieme) una spesa di circa 116 miliardi di dollari. E ripercussioni, sempre economiche, sugli Stati vicini come Etiopia(17,7 miliardi di dollari), Kenya (18,3 miliardi di dollari),Uganda (10, 16 miliardi di dollari).
Ma quasi certamente potrebbe esserci un coinvolgimento anche di Egitto e Tanzania.
Inoltre vanno messi in bilancio la spesa della comunità internazionale per le missioni di peacekeeping (dai 26 ai 43 miliardi di dollari per un conflitto ad alta intensità) e quella di aiuto umanitario, che ammonterebbe ad una cifra dai 6 ai 12 miliardi.
Volutamente non sono stati fatti i calcoli relativi al numero delle vittime di un eventuale conflitto.
Finora però è noto che il conflitto tra Nord e Sud del Sudan ha già prodotto due milioni di vittime e quattro milioni di sfollati nei Paesi circostanti.
Le vittime della tragedia del Darfur, di cui tanto si è parlato anni addietro e su cui oggi è calato il silenzio dei nostri”media”, non sono in tutto più di trecentomila e impallidiscono, se così possiamo dire, dinanzi alla grandezza numerica di quelli che sono stati i morti in tutto il Sudan ieri (dal 1956,data dell’indipendenza fino ad oggi) e quelli che, in aggiunta, potrebbero esserci a breve se non si lavorerà seriamente per la pace.
Ancora c’è da precisare che, nel nucleo degli accordi di Nairobi, si parla di una consultazione separata, in occasione del referendum, per i residenti della regione petrolifera di Abyei, i quali dovranno stabilire se la loro regione resterà al Nord oppure farà parte del nuovo Stato del Sud-Sudan.
A proposito di libertà di culto invece una buona notizia viene proprio dal Sud-Sudan, precisamente da Juba, dove sempre in vista del referendum, si afferma ufficialmente la volontà di garantire a ciascuno il diritto e la libertà di professare il proprio culto.
E non è poco se si considera che le divisioni delle regioni del Paese in base anche alle differenti professioni religiose hanno prodotto soltanto odio e discriminazioni e reso difficilissimo costruire consensi basati su quelli che sono i diritti umani e le libertà fondamentali.
Marianna Micheluzzi (UKUNDIMANA)
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