Jambo Africa

UNIONE EUROPEA- LIBIA / ACCORDO PER UNA FUTURIBILE INTESA ? ATTENTA EUROPA!

Sarà una cosa buona? Questo è il primo interrogativo d'obbligo, tenendo presente la natura e lo stile politico di uno dei due contraenti. Ricordate l'episodio delle infermiere bulgare condannate in Libia, in cui il presidente francese Sarkozy si era impegnato in prima persona con Gheddafi  per il rilascio?

Ebbene la Commissione Europea ha proposto due giorni fa l'apertura dei negoziati per rinforzare le relazioni tra UE e Libia con l'obiettivo di chiudere un primo accordo quadro entro il 2008. Dal momento che attualmente l'Unione non ha alcun tipo di relazione contrattuale con la Libia la finalità è quella di di rinforzare le relazioni politiche, economiche, commerciali e culturali.

"Si tratta di una decisione storica- ha sostenuto nel corso del dibattito la commissaria alle Relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner-. La Libia è un attore essenziale nella regione del Mediterraneo e in Africa".

Peter Mandelson, commissario al Commercio, ha aggiunto che " vorremmo arrivare ad un ambizioso accordo di libero scambio ed aiutare la Libia ad entrare nel WTO".

Lodevoli intenzioni ed ottime prospettive. Ma sarà realmente così? Qualche dubbio emerge anche in relazione alle grosse critiche, mosse da più parti, che proprio la Francia , nella persona del suo presidente,si sta attirando nel tentativo di coinvolgere la Libia nel contesto europeo.

Va ricordato che la Libia non ha accordi siglati con l'UE anche perchè non li ha voluti, rifiutando di aderire al processo di Barcellona per i Paesi del Mediterraneo, che prevede, tra le altre cose, la sottoscrizione di un patto per il rispetto dei diritti umani.

La Libia come del resto l'Algeria ha utilizzato sempre la leva energetica per regolare i propri rapporti con l'Europa.

Uno dei temi aperti con la Libia di Gheddafi è ,ad esempio, quello dell'immigrazione clandestina.Tema sfruttato dalla Libia come forma di pressione sull'Europa in particolare verso l'Italia e Malta.

Diritti umani ed immigrazione non sono cose da poco.Il via libera all'offerta di negoziato dovrà comunque essere dato dal Consiglio Europeo. ATTENTA EUROPA!

Come dice il vecchio adagio: "Fidarsi è bene,non fidarsi è meglio".

A CURA DI MARIANNA MICHELUZZI

EUROPA E AIUTO ALLO SVILUPPO / MA NON E' UNA COSA SERIA

Si è tenuto in questi giorni,a Roma, un seminario organizzato da Action Aid dal titolo "Sostegno al bilancio:il miglior aiuto?"

Il sostegno al bilancio dei Paesi Poveri, noto come "budget support", è diventato ormai una voce importante dell'agenda dell'aiuto allo Sviluppo delle nazioni europeee. Ma destinare un'alta percentuale dell'aiuto pubblico al canale bilaterale è una pratica che non convince molto la società civile del Nord e del Sud del mondo.

Il sistema del "budget support" presenta luci e ombre perchè è vero che ha il merito di rafforzare le responsabilità dei governi nazionali beneficiari ma spesso è vittima della corruzione e/o quindi della cattiva gestione dei fondi, per altro al momento non adeguatamente monitorata.

Le ONG(erano presenti al seminario rappresentanti delle Organizzazioni non Governative accanto a ad esperti della Cooperazione italiani ed europei, ricercatori ed esponenti di governo e parlamento) hanno subito lamentato che la società civile dei Paesi destinatari non è quasi mai consultata e coinvolta direttamente.Ciò significa che viene automaticamente esclusa da ogni processo partecipativo all'interno di una politica di sviluppo.

Addirittura talora  sono emarginate e non possono entrare nel merito della ripartizione delle risorse ricevute le stesse istituzioni rappresentative dei Paesi destinatari. Il sistema spesso è servito solo a fare pressione su Paesi fragili e privi di una reale capacità negoziale per ottenere contropartite di natura politico -strategica. Denunce pesanti. Levatesi , in verità,da più parti.Importanti però per avere chiaro il quadro della situazione.Ecco allora che torna lo spettro dell'aiuto" legato", che detta le condizioni della sua fruizione ai Paesi del Sud del mondo, vincolandoli però ad investire su imprese e prodotti degli Stati da cui si riceve finanziamenti.

Attualmente il "budget support" sostiene circa 25 Paesi poveri, la maggior parte dei quali sono in Africa Subsahariana e copre, per quei contesti,  dal 5 al 30 per cento della spesa pubblica. "Cifre troppo elevate nelle areee di conflitto o postbelliche-ha detto l'esperta britannica Karin Christiansen- perchè la storia ha dimostrato e dimostra di continuo che solo una minima parte degli stanziamenti dati ai governi arriva alla popolazione".

Nonostante ci siano state altre dichiarazioni analoghe, per molti dei presenti al seminario il"budget support" è una pratica da non abbandonare. "Semmai occorre lavorare sui sistemi di controllo e monitoraggio della gestione dei soldi-ha precisato Patrizia Sentinelli, vice ministra degli Esteri del Governo uscente con delega alla Cooperazione."

Dello stesso parere  molti altri dei presenti al dibattito anche perchè, si precisava, sarebbe terribile scoprire che gli aiuti dati    siano poi stati spesi  per l'acquisto,ad esempio, di armamenti.

A CURA DI  MARIANNA MICHELUZZI

SOMALIA /GUERRA O TRAGEDIA DIMENTICATA ?

Secondo molti operatori umanitari è la peggior crisi umanitaria del momento. Una crisi comparabile a quella del Darfour, con decine di morti tutti i giorni e centinaia di migliaia di  rifugiati che cercano la salvezza sulle strade o verso il mare.Anche se le belle spiagge di Mogadiscio,oggi, non rappresentano più luoghi sicuri per le insidie nascoste che si possono incontrare ad ogni passo.

E' una battaglia senza tregua tra le forze governative federali di transizione(appoggiate dalle truppe etiopi e dagli USA) e gli insorti dei Tribunali islamici legati ad al-Quaida.

Di questa guerra tuttavia non ne parla praticamente nessuno ed il conflitto continua ad essere una tragedia senza testimoni, senza immagini,che la stampa internazionale ignora.

Mathieu Bichet è uno degli operatori di "Medici senza Frontiere" rientrato  da poco a Ginevra. Egli conferma come Mogadiscio sia massicciamente bombardata per ore ed a volte anche per giorni. Prima di lasciare la Somalia Bichet lavorava da due mesi in un piccolo ospedale situato in uno dei 130 campi di rifugiati che sono nati lungo la strada che collega Mogadiscio con il resto del Paese. Campi di fortuna che accolgono 250mila rifugiati, poichè dal 2007  la metà della popolazione della capitale ha abbandonato la città in seguito ai combattimenti.

In tutto il Paese gli sfollati sfiorano il milione.Secondo il PAM(Programma alimentare mondiale) l'anno scorso circa 30mila somali hanno raggiunto lo Yemen e più di 1400 sono scomparsi in mare.

In realtà non esiste nessuna cifra affidabile sul numero totale dei morti. Il problema comunque non è il numero dei morti è il fatto che si muore o sotto i colpi di mortaio o divorati da squali nell'attraversare il mare sulle solite carrette.

In uno splendido reportage da Mogadiscio, pubblicato su Nigrizia,la rivista dei Comboniani,Ugo Borga descrive abilmente, con parole ed immagini, la "città fantasma", dove essere vivi è una ragione sufficiente per venire ammazzati.

Molti i giornalisti e i reporter stranieri ma anche somali  che sono stati ammazzati negli ultimi tempi. La speranza di pace,nonostante diversi tentativi, è sempre più flebile.I militari somali, fedeli al governo di transizione,da mesi non pagati, compiono di continuo blitz, ad esempio, perquisendo i quartieri cittadini per snidare gli insorti-essi dicono- in realtà per razziare, stuprare, mutilare, uccidere.Una legge di guerra non scritta. Le scuole, che erano state riaperte nonostante le ostilità, dopo che una mina ha ucciso due studenti, sono state richiuse. L'assenza di stato poi, ovviamente, ha reso fiorente il mercato delle droghe, armi, rifiuti tossici e scorie nucleari. Le merci arrivano dal mare o via terra da Gibuti e Kenya. Indisturbate.

A cura di Marianna Micheluzzi

KENYA SEMPRE IN BILICO /LA PACE E' ANCORA LONTANA

Il KENYA, di cui i nostri media ormai quasi non parlano più,sta vivendo momenti cruciali :è vicino alla pace ma il pericolo del ritorno alla violenza è ancora reale.

Un recente Rapporto dell'International Crisis Group denuncia il fatto che entrambe le parti stanno ancora mobilitando gruppi paramilitari.

"La situazione rimane estremamente pericolosa-rivela una fonte attendibile. A Kisumu,per esempio, la gente normale è ostaggio di bande di giovani che sono finanziati da qualcuno. Gli abitanti di un quartiere della città si sono ribellati ed hanno ucciso alcuni teppisti che continuavano a saccheggiare e ad uccidere.Questi gruppi dicono che il lavoro non è finito. Ossia l'uccisione delle persone di etnia rivale deve continuare e, lungo le strade, si vedono mucchi di pietre per la creazione di posti di blocco. Basta una chiamata al cellulare per radunare i teppisti e creare un nuovo posto di blocco. Sempre attraverso i cellulari continuano ad essere diffusi messaggi di propaganda e di odio."

Per stabilizzare la situazione occorre allora superare una politica fondata sulla divisione tribale,anche se la vera causa dell'inferno che si è scatenato in Kenya non è la divisione etnica;occorrono riforme come il decentramento amministrativo dal momento che per qualsiasi atto bisogna fare capo a Nairobi. Per avere la pensione, per ritirare un diploma bisogna sempre andare nella capitale. Ciò genera inefficienza e quindi corruzione, frustrazione ed esasperazione.

L'economia del Paese è in mano ad una piccola élite che controlla la maggior parte della terra e della ricchezza. Vi sono persone che possono permettersi tutti i giorni un pranzo da 10mila scellini mentre la maggioranza della gente è fortunata se riesce a tirare avanti con 3mila scellini.

Politicamente,le due parti in causa,Kibaki ed Odinga, pare abbiano ammorbidito le loro posizioni.Non è chiaro però se queste aperture negoziali siano solo giochi di potere o se invece si vuole realmente il bene della nazione ed ,in primis, il ristabilimento della pace.

A cura di  MARIANNA  MICHELUZZI

"ACCADE IERI" ........A PARIGI

"Ministero dell'Immigrazione:la colonizzazione continua", "Dal Ciad alla Cecenia, dall'Iraq alla Palestina, è finito il tempo delle colonie", "Quartieri occupati ed immigrati espulsi,stop al razzismo di Stato":sono questi alcuni degli slogan che hanno ritmato,ieri, la manifestazione organizzata dal collettivo "Settimana anticoloniale" a Parigi.Circa 3500 persone, secondo gli organizzatori,hanno raggiunto a piedi le vicinanze del ministero dell'Identità nazionale e dell'Immigrazione, protestando contro l'istituzione, che per loro rappresenta un nuovo "ministero delle colonie".

"Siamo stati piacevolmente colpiti dalla diversità dei partecipanti- ha detto Patrick Farbiaz,del comitato organizzativo- precisando che erano insieme centinaia di Palestinesi,molti immigrati,esponenti politici del partito comunista e dei verdi, del sindacato solidale,di movimenti alternativi"

La manifestazione è stata organizzata per ricordare il terzo anniversario del voto da parte dell'Assemblea nazionale francese di una legge sul riconoscimento della nazione e del contributo nazionale a favore dei francesi espatriati, con un articolo che consacra il"ruolo positivo della presenza francese oltre-mare, in particolare in Africa settentrionale".

MARIANNA 06

"IMMIGRATI DI LUSSO" / LA FRANCIA APRE LE PORTE

Nei giorni scorsi il Ministero degli Esteri francese ha invitato i suoi servizi consolari in Africa a prestare la massima attenzione nel rilascio dei visti agli africani " aventi un'attività professionale a carattere artistico,culturale,universitario o di ricerca". Questi visti sono quelli detti di"circolazione" ossia per le entrate ed uscite multiple sul territorio.

Gli artisti, i ricercatori e gli universitari africani, che hanno già beneficiato di numerosi visti per la Francia, possono così vedersi concedere un visto di"circolazione" di cinque anni che, senza ostacoli amministrativi, permette loro di effettuare soggiorni brevi(3 mesi massimo).Chi invece ha beneficiato di un solo visto per la Francia,dovrà accontentarsi di un visto di "circolazione" di un anno, questo almeno in un primo periodo.

Parallelamente i servizi culturali delle ambasciate francesi dovranno redigere una lista delle personalità che potrebbero essere invitate a partecipare in particolare a festival, seminari o conferenze. La lista sarà sottoposta ai servizi consolari che, a loro volta, dovranno prestare attenzione alle richieste di persone censite e che ancora non hanno beneficiato di un visto in Francia.

La nuova politica dell'immigrazione in Francia ha infatti come priorità la lotta all'immigrazione clandestina e lo sviluppo di un immigrazione "scelta".

Brice Hortefeux, ministro dell'immigrazione del governo Sarkozy, non ha ufficialmente accennato alle  migrazioni fatte di andate-ritorni,pur previste in un contesto di economia mondializzata.Oggi come oggi i visti di lunga durata tendono a diminuire mentre aumentano sensibilmente quelli di"circolazione". Queste regole risalgono al 23° vertice Africa-Francia,svoltosi a Bamako nel dicembre del 2005.In quella sede la Francia facilitava il visto di"lunga durata ad entrate multiple" ad imprenditori,ricercatori,professori, artisti. Nei fatti però, fino ad ora, di questo impegno ne hanno beneficiato sopratutto gli imprenditori. Perchè? Perchè i consolati,pur consapevoli che si vuole giocare la carta della "relazione di fiducia" con i richiedenti, sono reticenti con gli artisti ed i ricercatori, perchè molto giovani e/o con attività meno stabili.

Senz'altro molto discutibile quest'ultimo punto. Resta comunque valido l'incoraggiamento in senso lato. E l'Italia? A quando una seria politica dell'immigrazione che favorisca realmente scambi interculturali ed un'integrazione effettiva per chi è già nel nostro Paese? Lo sapevate che, ad esempio, il diritto d'asilo,pur introdotto nei principi fondativi della Repubblica(art.10 della Costituzione) è ancora oggi, in Italia, fatto di singole disposizioni disorganiche, frammentarie e poco coerenti? Ed è un tema sconosciuto spesso persino a chi si occupa d' immigrazione e di accoglienza?

A cura di MARIANNA MICHELUZZI

ATTENTI A QUEST'UOMO! / CAMERUN DEMOCRAZIA IN FORTE PERICOLO

Non lasciatevi trarre in inganno dall'aria pacioccona e dal sorriso cordiale. Paul Biya,presidente del Camerun, al potere da 26 anni, è un uomo dal pugno di ferro che impone alla sua gente da anni ormai un potere politico fortemente anti democratico ed uno stile di vita che, come sempre in Africa, vede pochi privilegiati a fronte di una moltitudine che si dibatte tra povertà e miseria. E, sopratutto,bocche cucite.

In questi giorni in Camerun le strade sono teatro di disordini.Perché?Paul Biya vuole modificare la Costituzione del Paese.L'obiettivo è trasformare il suo mandato in una presidenza a vita. Leggi pure dittatura.Naturalmente l'opposizione non ci sta e sta organizzando manifestazioni di piazza,le quali ovviamente vengono impedite o represse dalla polizia locale. Le prossime elezioni presidenziali sono previste per il 2011.

L'opposizione è guidata da John Fru Ndi del Fronte sociale democratico(SFD).

La sicurezza ostentata da Biya scaturisce dal fatto che alle elezioni legislative del 2007 il Partito del Presidente(Partito democratico per i camerunensi RDPC) ha ottenuto una maggioranza schiacciante.Pertanto l'appoggio del Parlamento per la modifica della Costituzione è scontato.

Intanto una "Piattaforma della società civile", nata in situazione, ha organizzato una raccolta di firme per chiedere un referendum abrogativo in caso di approvazione delle modifiche costituzionali auspicate da Biya.

Poca cosa? Di più non si può in Camerun se si considera che i "Rosa Croce" costituiscono il potere occulto ma non troppo e valide intelligenze hanno dovuto da tempo lasciare il Paese in esilio forzoso.

A cura di   MARIANNA   MICHELUZZI

LA BOLLETTA ENERGETICA IN AFRICA/ RICCHEZZA PER POCHI E POVERTA'PER MOLTI

Le materie prime sono allo stesso tempo la salvezza e la dannazione dell'Africa.Ieri ed oggi.Oggi però i problemi potrebbero scaturire dal prezzo troppo elevato del petrolio a livello mondiale e dal costo dei prodotti agricoli.

Per il momento tuttavia il Fondo Monetario Internazionale (FMI) non sembra troppo preoccupato perchè le sue ultime previsioni(ottobre scorso) indicano che le economie dell'Africa Subsahariana continueranno ad accellerare.Si prevede un aumento del PIL per l'anno in corso del 6,8%. Altre istituzioni invece hanno già suonato il campanello d'allarme. Tra queste l'AIE ossia l'Agenzia Internazionale per l'Energia. A suo parere i rincari del greggio degli ultimi tre anni hanno già spazzato via i benefici che molti Paesi si attendevano in termini di aiuti internazionali e riduzione del debito. L'AIE si è concentrata su 13 Paesi importatori netti di greggio, tra i quali Stati poverissimi come l'Etiopia ma anche alcuni che sono produttori di materie prime come il Sudafrica,ricco di miniere d'oro, platino, diamanti e carbone ed il Ghana, secondo fornitore mondiale di cacao e discreto produttore di rame e manganese. Ebbene in questi 13 Paesi il caro-greggio ha fatto lievitare notevolmente il costo delle importazioni petrolifere.

Accanto al prezzo-record del petrolio ci sono quelli del mais, del frumento e dei semi di soia.Rincari della bolletta energetica uniti a quelli dei prodotti alimentari,più continua crisi dei mercati finanziari,significa per l'Africa e le sue deboli economie subire conseguenze devastanti.

"La fame nel mondo rischia di aggravarsi- dice Jacques Diouf,direttore generale della FAO-anche perchè ci sono già stati episodi di violenza ,legati a questo tipo di emergenza,in Guinea Bissau, Mauritania e Senegal".

In conclusione, nonostante una certa crescita positiva per i Paesi dell'area subsahariana dovuta alle esportazioni, in particolare di petrolio, il 40% degli abitanti vive tuttora con meno di un dollaro al giorno.E la povertà estrema è diffusa anche in Paesi ricchissimi di petrolio come la Nigeria e l'Angola.

Una recessione di portata mondiale(sappiamo come stanno andando le cose nel Nord del mondo) potrebbe tradursi senza ombra di dubbio in un disastro epocale per l'Africa. Ma anche senza recessione ci sono già abbastanza elementi capaci di mettere in crisi le sue economie più deboli.

A cura di  MARIANNA MICHELUZZI

LVIA IN BURKINA FASO / TORINO INCONTRA OUAGADOUGOU

"L'AFRICA deve poter creare le sue proprie immagini,al fine di offrire a livello internazionale la sua visione del mondo. La proliferazione di antenne paraboliche porta immagini provenienti da altrove  che sommergono il nostro continente e spesso forgiano i modi di pensare dei nostri giovani. Una nostra maggiore produzione cinematografica ed audio visiva permetterà alla cultura africana di raggiungere queste giovani generazioni che ne hanno bisogno".Queste le parole di BABA HAMA-delegato generale del FESPACO,Festival cinematografico burkinabé,manifestazione che ogni due anni celebra la cultura africana in una competizione tra i migliori registi del Continente Nero.

E' iniziato in questi giorni ad Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, il corso di formazione del Segretariato sociale RAI per giornalisti e tecnici della comunicazione. Il corso è indirizzato a 17 operatori della RADIO MUNICIPALE della città e di altre radio operanti nella capitale. Tutti sanno l'importanza della radio in Africa più della stessa televisione per la possibilità che offre di raggiungere le località, le più isolate.

Questo corso nasce da un accordo di cooperazione stipulato nel 2003,

traTorino ed Ouagadougou,il cui incarico di accompagnamento è stato affidato all' LVIA(ONG con sede a Torino e a Cuneo).

"Il rapporto tra Torino e Ouagadougou nasce-ha spiegato l'assessore alla Promozione,Cooperazione e Relazioni Internazionali della Città di Torino- dalle affinità culturali e strategiche delle due città".

Obiettivo di questo progetto è un sempre maggiore ampliamento delle opportunità e delle capacità delle giovani generazioni burkinabé.Si vuole rafforzare la  comunicazione sociale attraverso l'appoggio alla Radio Municipale,si vuole promuovere l'identità culturale attraverso una sempre maggiore valorizzazione del Festival del Cinema Africano.Infine,cosa importantissima, attraverso la realizzazione di un CENTRO MULTIMEDIALE di FORMAZIONE ed INFORMAZIONE POLIVALENTE si lavorerà a sensibilizzare la popolazione locale sui temi della sicurezza alimentare, della salute, dell'igiene e della tutela ambientale. Tematiche, queste ultime, sempre presenti nella pluriennale attività di formazione di tutti i volontari LVIA.

"La LVIA lavora in Burkina Faso,come in altri dieci Paesi africani, da oltre quarant'anni-precisa Gianfranco Cattai,responsabile del Settore Italia. La nostra lunga esperienza ci ha insegnato quanto la cultura sia un efficace veicolo di promozione e di sviluppo. Rafforzare la comunicazione sociale in Africa, così come in Europa, significa parlare alla gente, abbattere vecchi tabù."

Cooperazione quindi non solo come sicurezza alimentare, progetti sanitari, tutela dell'ambiente,urgenze comunque prioritarie,ma anche e prima di tutto dialogo tra culture.

A CURA DI MARIANNA MICHELUZZI

ORRORE DIETRO LE SBARRE / PRIGIONIA E PENA DI MORTE IN AFRICA

In AFRICA su 53 nazioni 14 hanno abolito la pena di morte,21 la mantengono ma non la applicano,2 hanno decretato la moratoria, 16 la mantengono.

Nel luglio 2007 il Ruwanda ha abolito la pena di morte per tutti i crimini, compresi quelli relativi al genocidio del 1994. In settembre è stata la volta del Gabon.Il Burundi ne seguirà presto le orme.

Lo scorso agosto il Parlamento del Kenya ha respinto una mozione per l'abolizione,temendo che, tolta questa misura di dissuasione,il numero degli assassini, potesse moltiplicarsi. I condannati a morte in Kenya sono circa 500 ma dagli anni '80 non si applica la pena di morte. In Malawi sebbene in vigore, la pena non è eseguita dal 1992.L'ultima esecuzione in Nigeria è del gennaio 2001. Nel 2006 le esecuzioni si sono avute in "sole" 6 nazioni.

Le condizioni di vita nelle prigioni africane,è questo che vogliamo rimarcare, sono disumane, Nel solo 2004, almeno 127 detenuti sono morti per sovraffollamento nel carcere di Bulawayo, in Zimbabwe.La sieropositività è alta tra i carcerati africani.Dovunque, nel continente, i carcerati che non possono permettersi un avvocato difensore rischiano di marcire in cella. I suicidi sono all'ordine del giorno. Frequenti i casi di abusi,maltrattamenti e torture.

C'è da precisare che molti dei detenuti sono persone giovani e poverissime solitamente.I reati commessi possono essere  banalità come rubare qualcosa da mangiare o sottrarre qualche pezzo di sapone,merce rara e costosa in quei contesti.Vengono dai villaggi o dalle periferie urbane.Inghiottiti dal carcere, nessuno si occuperà più di loro. Nemmeno i parenti che spesso ignorano l'accaduto. I detenuti più fortunati sono quelli infatti che ricevono la visita di qualche parente, che porta loro da mangiare o da cambiarsi d'abito.Nelle carceri africane si mangia un solo pasto al giorno e scarsissimo.Spesso si rimane con gli stessi vestiti tutto il tempo della detenzione e può ritenersi fortunato chi ha una stuoia sulla quale sdraiarsi per la notte.Aids,colera, tubercolosi fanno il resto.

In occasione del ricevimento del Premio "Abolizionista dell'anno 2005",dopo che il Parlamento del suo Paese aveva approvato all'unanimità l'abolizione della pena di morte,il presidente del SENEGAL Wade disse:" Come il poeta Victor Hugo, principe degli abolizionisti,penso che non serva un boia laddove basta il carceriere". Io aggiungerei ,in molti casi, basta la prigione per "giustiziare".

MARIANNA 06